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Il Lavoro in Italia: il Sogno di una Vita Normale

Creato il 24 gennaio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Jessica Leti Il Lavoro in Italia: il Sogno di una Vita Normale

Se fosse il 2063 e se uno storico decidesse di analizzare la letteratura dell’inizio del cinquantennio precedente per avere una panoramica della situazione sociale, emergerebbe che uno dei temi maggiormente scelti e affrontati da chi scrive per mestiere, all’inizio del secondo decennio del ventunesimo secolo, è quello del lavoro. E questa è una notizia confortante, perché racconta dell’attenzione dei nostri autori per una delle piaghe del nostro tempo. Dall’indagine effettuata su tre testi, La ballata dei precari (monologo di Silvia Lombardo edito da Miraggi Edizioni), Dimmi che c’entra l’uovo (romanzo di Fabio Napoli pubblicato da Del Vecchio Editore) e Lavoro vivo (raccolta di dieci racconti uscita per Edizioni Alegre ed ispirata dalla Fiom di Bologna) emergono due caratteristiche comuni. La prima riguarda il fatto che gli scrittori sono direttamente coinvolti nei temi che affrontano. La seconda che, molto spesso, il tono espositivo scelto tende all’ironia in quelli più giovani, mentre è molto aspro negli adulti. Silvia Lombardo racconta la permanenza nel precariato di una donna che, conclusasi l’età della spensieratezza, affronta il duro mondo del lavoro, offrendo una panoramica generazionale, nella quale sono coinvolti tutti gli aspetti dell’esistenza di una persona italiana di trent’anni; ne emerge soprattutto il rapporto tra precarietà nel lavoro e precarietà nell’esistenza. «Sotto il letto, da ragazzina, tenevo quella che chiamavo “la scatola dei ricordi” [...]. Adesso la scatola ha triplicato le sue dimensioni e ha finito per far compagnia a un servizio di piatti, un vaso, delle lenzuola e dei quadri che io e il mio ex convivente tenevamo in casa». Il testo è strutturato in sei capitoli più le conclusioni, e si presenta come un lavoro in divenire, come un materiale che cambia fra le dita mentre lo stai leggendo: questo monologo sembra costruito con la pelle del personaggio che racconta.

Il Lavoro in Italia: il Sogno di una Vita Normale

Il romanzo di Fabio Napoli, invece, associa ad elementi reali elementi realistici. Ad una prima lettura la trama può apparire molto semplice, ma osservando meglio emerge un racconto inquietante per l’assurdità degli sviluppi, che sono insoliti ma assolutamente possibili. Il protagonista, Roberto, decide di risolvere i suoi problemi economici organizzando una rapina in un fast food. Il testo affronta anche altri temi legati al precariato: la difficoltà di avere una relazione sentimentale, le bugie per non far preoccupare i genitori, la trafila dei colloqui assurdi e la creatività necessaria per gestire tre lavori diversi nell’arco della stessa giornata (nel caso specifico: barista, insegnante privato, attore porno). Queste pagine descriverebbero al nostro storico la mente di un giovane dei nostri anni, magari non le azioni che compirebbe ma sicuramente la varietà di cose che pensa, che inventa, che ipotizza. La nascita dei nuovi gratta e vinci, dei giochi a premi (tipo Win for Life, o Turista per sempre), non sono forse una risposta alle esigenze di Roberto? I racconti di Lavoro vivo sono scritti più maturi, dove le esperienze personali sono amalgamate alle scelte stilistiche in modo da creare dei piccoli quadri, veloci e intensi, che riportano le difficoltà di un mondo che vive problemi come quello delle morti bianche, non dimenticando di parlare di lavoro anche in rapporto all’immigrazione oppure agli incontri tra colleghi.

Il Lavoro in Italia: il Sogno di una Vita Normale

Questi testi dicono molto anche di un modo di esercitare una qualsivoglia professione che non è più attuale, di una dimensione di impegno e amore per ciò che si fa ormai perduta. Oggi si lavora soltanto per sopravvivere e questo volume non manca di sottolineare lo scarto fra il mondo del lavoro degli ultimi vent’anni del ’900 e quello di oggi. «Allora guardavo mio padre e pensavo a un muratore che, con fierezza, fissando un palazzo può esclamare: “questa è opera mia!”» (dal racconto Eqquessaè di Giuseppe Ciarallo). Lo storico al termine della sua ricerca potrebbe scrivere che nel primo decennio del ventunesimo secolo i più giovani non avevano un rapporto con il lavoro ma un rapporto con il non lavoro, mentre le generazioni precedenti vivevano tra il vecchio modo di lavorare e il nuovo, conservando la tristezza del passaggio, il rimpianto per il passato e una speciale inquietudine per il presente, fatta di preoccupazione e incredulità.

Il Lavoro in Italia: il Sogno di una Vita Normale

     

     

     


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