Dal 25 settembre al 1° ottobre il regista argentino Fernando ’Pino’ Solanas sarà in Emilia Romagna per ricevere il premio Grifone d’Oro- Città di Imola, già consegnato a Visconti e a Pasolini, e per tenere alcuni seminari di cinematografia. Il 29 e il 30 il regista si sposterà a Bologna per presentare la sua ultima opera: “Tierra sublevada” sul saccheggio delle risorse minerarie argentine da parte di imprese straniere.
Presentiamo, di seguito, l’articolo “Il leone del Plata” scritto da Mario J. Cereghino per il catalogo dell’omaggio cinematografico che l’Imola film Festival dedica al grande cineasta.
di Mario J. Cereghino
Fernando Ezequiel Solanas
A vederlo così, canuto e un po’ ingobbito dal tempo, lo si direbbe un pensionato che porta a spasso i nipotini nei parchi inglesi di Buenos Aires. O che ammazza il tempo in interminabili partite a scopa in qualche caffè italiano di Calle Florida, nei pomeriggi tristi dell’inverno australe.
Ma chi conosce Fernando Ezequiel Solanas – “Pino” per gli amici – impara ben presto che i vecchi leoni non smettono mai di combattere. Per sé e per gli altri.
L'ora dei forni
Come quando, a metà anni Sessanta, manda all’aria una ricca carriera di regista pubblicitario per dedicarsi anima e corpo a narrare le inquietudini di un’Argentina in perenne crisi di identità.
Nascono così il gruppo “Cine Liberación” e un’opera cinematografica che segna un’epoca. L’anno è il ‘68 e “L’ora dei forni” racconta a un mondo in tumulto che l’America Latina è un continente che grida disperazione e dolore.
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Che Guevara
E voglia di futuro. Come il volto senza vita del Che Guevara, il “Cristo Rosso”, che alla fine del film ci osserva dolcemente in un crescendo di percussioni tropicali.
Certo, a “Pino”, la borghesia benpensante del suo Paese non perdona l’amore per il populismo peronista. Per non parlare della sinistra marxista e radical chic dei salotti buoni di San Paolo del Brasile o di Città del Messico.
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Madres. La storia delle madri de Plaza de Mayo
Un fastidio che diventa rancore nel ‘71, quando il regista piomba nella residenza dell’ex presidente Perón, a Madrid, in esilio non certo volontario da quando un golpe pagato dalla Cia lo ha spodestato nel ‘55. Il risultato è un film in due parti – “Actualización politica y doctrinaria para la toma del poder” e “La revolución justicialista” – su un’esperienza politica che molti storici stentano ancora a definire.
Ma è tempo di tornare alle radici arcaiche della storia patria. Solanas lo fa con un’altra opera manifesto, “Los hijos de Fierro”, tra il ’72 e il ’75, una rilettura del mito dei miti del Cono Sud latinoamericano, il “Martín Fierro”, il canto epico della nazione gaucha sconfitta e massacrata a metà Ottocento. Nel sacro nome di interessi commerciali che guardano più a Londra e a Parigi che non al deserto freddo del Chaco.
Poi è l’apocalisse di Videla, Massera, Galtieri. E delle trame nere di Gelli in una delle nazioni più ricche del globo. Il male si ripete, in Argentina, nel ’76. Banalmente. Altri morti e massacri. Torture e desapariciones.
“Pino” fa appena in tempo a nascondere film e carte. E a rifugiarsi in Europa, a Madrid, e finalmente a Parigi.
Inizia un periodo cupo, fatto di depressioni e di inattività. “Sono un morto cinematografico”, ripete agli amici francesi in quei tardi anni Settanta. Ma qualche porta si apre, grazie anche a Bertrand Tavernier, e la vita riprende.
In Argentina, nell’82, la guerra delle Malvinas spazza via i gorilla di un esercito genocida e il presidente Alfonsín restaura una democrazia incerta.
Ora è la volta di “Tangos”, un quasi musical sul ballo popolare più denso di emozioni e simboli per chi è nato e vissuto sulle rive del Rio de la Plata. Una storia di anti eroi sulla Senna, devastati dalla nostalgia per la patria bella e perduta. Il film piace e vince il Gran premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia dell’85.
Sur
“Sur” – la sua opera più intensa – mette in scena l’epopea del ritorno, una “tanguedia” notturna popolata da triangoli amorosi, repressioni selvagge e militanti un po’ rincoglioniti. Nell’amara coscienza che la libertà ritrovata non sempre vuol dire felicità. A Cannes, nell’88, la pellicola si porta a casa la Palma per la Miglior regia.
Qualche volta, però, i leoni diventano di carta. Come le tigri del capodanno cinese.
“Il viaggio” è un’opera stanca. Nell’odissea giovanile di Martín Nunca tra gli spazi infiniti del subcontinente, dalla Terra del Fuoco ai Caraibi, sono in pochi a ritrovare la saga di un popolo in fuga costante da se stesso e dalla sua storia.
Ma anche le speranze politiche si fanno di carta e prendono fuoco. Siamo all’inizio degli anni Novanta e la presidenza Menem porta alla ribalta le vene aperte di una nazione intera. Drammaticamente. Tra corruzione di Stato e svendite impudenti del patrimonio nazionale.
Solanas non tace. Anzi. Denuncia a chiare lettere lo stato delle cose, giorno per giorno. Con dossier, prove giudiziarie, comizi nelle piazze e in televisione. Ritorna alla bella politica, il nostro, ma il coraggio civile gli costa un attentato a revolverate, nel ’91, che lo costringe su una sedia a rotelle per quasi un anno.
“Il viaggio” è presentato a Cannes nel ’92 e le reazioni sono tiepide. Un trend artistico infelice che porta dritto dritto a “La nube”, nel ’98, una pellicola che racconta, tra alti e bassi, la crisi di una nazione negli anni sciagurati del menemismo.
Fare tabula rasa è la parola d’ordine di “Pino” all’inizio del nuovo millennio. Si torna ora all’antica passione per il cinema della realtà. Un progetto di studio che parte dalla crisi finanziaria del dicembre 2001, che regala agli argentini le dimissioni dell’inetto presidente De La Rúa.
In pochi anni, il regista sforna cinque opere – l’ultima in ordine di tempo, “Tierra sublevada”, denuncia lo sconcio del saccheggio delle risorse minerarie del Paese – , un esperimento senza rete che poco ha a che vedere con i “documentari” del secolo scorso.
La nascita del “Progetto Sud” e la sua candidatura alle presidenziali del 2011 sono storia recente. Lo spettro dell’autunno del patriarca è ormai lontano. Il leone del Plata è tornato a ruggire. Tra dubbi, sconfitte e resurrezioni.
E una passione tutta latina che lo affianca a Gardel, Borges, Piazzolla e a Che Guevara nell’Olimpo argentino. Ma anche a Maradona, Gatica e a Oscar “Ringo” Bonavena.