Il libro color giallo

Creato il 10 novembre 2013 da Theobsidianmirror
Eccomi di nuovo a voi con un nuovo capitolo della serie dedicata agli “Yellow Mythos”. Per chi fosse capitato solo ora su questo blog, e si stesse chiedendo cosa significa quello che sto scrivendo, l’invito è quello di andare a recuperare innanzitutto il post introduttivo e, a seguire, l’intera serie contrassegnata dall’omonima etichetta. La volta scorsa ci eravamo lasciati con un articolo un po’ anomalo rispetto ai precedenti: una specie di racconto, un piccolo tentativo di aggiungere nuove pagine alle migliaia di pagine già scritte da decine di scrittori nell’arco di oltre un secolo. Ho tentato di “romanzare” il mio incontro con il famigerato libro dalla copertina gialla che ha dato il via a tutta questa storia. Naturalmente, e sarebbe difficile immaginare il contrario, la vicenda non è andata esattamente nei termini descritti e, soprattutto, sebbene l’argomento sia estremamente affascinante, il suo effetto su di me è stato decisamente più tenue rispetto a quanto raccontato. Mi sono comunque divertito a scriverlo, soprattutto sono soddisfatto della parte conclusiva che rappresenta un po’ la quadratura del cerchio di questa prima fase. Credo che proverò un giorno a dare un seguito a quel racconto, magari ritornandoci sopra ad intervalli regolari. Vedremo.
Il libro giallo in questione torna nuovamente in scena con l’articolo di oggi. Un libro, o forse uno “pseudo libro” che, se è vero che esiste o che è esistito, ha seminato nel tempo diverse vittime, sicuramente ben più illustri di me o dei miei alter ego letterari. Il “King in Yellow” (questo il titolo con il quale è a volte identificato) fa la sua prima apparizione nel 1895 in un racconto di Robert W. Chambers dal titolo “The Repairer of Reputations”, racconto incluso in una raccolta che riprende lo stesso titolo di “King in Yellow”.Un libro reale, quindi, che parla di un libro omonimo probabilmente irreale (parliamo di “metaletteratura”, se mi passate il termine). Il protagonista del racconto descrive il suo incontro con il succitato libro in una maniera che non si discosta molto da come io stesso l’ho descritto nel mio post precedente (così adesso avete capito, se non fosse stato ancora chiaro, da dove ho preso ispirazione): “Durante la mia convalescenza avevo comprato e letto per la prima volta il “Re in Giallo”. Ricordo che dopo averne letto il primo capitolo, sentii salire in me la necessità di smettere. Scagliai il libro nel caminetto acceso; il volume sbatté contro la grata e cadde aperto tra le fiamme. Se in quel momento non mi fosse caduto l’occhio sulle prime parole del secondo capitolo probabilmente non lo avrei mai terminato ma, come feci per chinarmi a raccoglierlo, i miei occhi si fissarono sulla pagina aperta e, con un sospiro di terrore, o forse per via del pathos che mi tendeva i nervi, riuscii ad agguantarlo e a strapparlo alle fiamme, per poi trascinarmi con esso lentamente in camera da letto, dove lo lessi e lo rilessi, piansi e risi e tremai di un terrore che ancora oggi a volte mi assale. Questa è la cosa che mi tormenta, per la quale non posso dimenticare Carcosa, dove stelle nere si stagliano nei cieli; dove le ombre dei pensieri umani si allungano nei meriggi, dove i Soli Gemelli affondano nelle acque del lago di Hali; e la mia mente conserverà per sempre il ricordo della Maschera Pallida. Prego Dio che possa maledire chi scrisse quelle pagine, così come chi le scrisse maledisse il mondo con questa meravigliosa, stupenda creatura, terribile nella sua semplicità, irresistibile nella sua verità – un mondo che oggi trema al cospetto del Re in Giallo”. Non vi dirò altro per oggi sul “Repairer of Reputations”: si tratta di un racconto estremamente complesso che vale la pena analizzare in un post dedicato. Per oggi credo possa bastare il brano sopra riportato dove, ancora una volta, ricorrono concetti già più volte apparsi in questa sede: la città di Carcosa, il lago di Hali, la Maschera Pallida, eccetera eccetera. Singolare invece è il fatto che Chambers lasci tra le righe un indizio che ci riporta ancora più indietro nel tempo, che ci permette di andare a ripescare dalla nostra memoria l’esistenza di un “libro giallo” antecedente, del quale tutti noi abbiamo probabilmente letto ma che giace in un angolino poco frequentato della nostra mente. 
Il brano che segue risale all’anno 1890 ed è estratto da uno dei romanzi in assoluto più famosi della storia, una vera colonna portante della letteratura mondiale. Non vi dico di quale romanzo si tratta (è più divertente se ci arrivate da soli) ma vi lascio un indizio: ancora una volta la lettura di un libro dalla copertina gialla è la chiave di volta, è il momento di svolta del romanzo, è l’oggetto che si insinua nella trama, senza farsi troppo notare, e che finirà per trascinare l’anima del protagonista in un abisso di corruzione morale. Avete già indovinato? Esiste davvero una grossa possibilità che lo abbiate già letto ma, anche se così fosse, provate stavolta a notare le diverse analogie con il frammento del “King in Yellow” riportato sopra. Inquietante, nevvero? Lo sguardo gli cadde sul libro color giallo che Lord Henry gli aveva mandato. Si chiese che cosa poteva essere. Andò al piccolo mobile ottagonale dai colori di perla che gli era sempre parso l’opera di curiose api egiziane abituate a lavorare l'argento e, preso il volume, si gettò su una poltrona e incominciò a sfogliarlo. Dopo pochi minuti era assorto nella lettura. Era il libro più strano che avesse mai letto. Gli sembrava che, in vesti preziose e al delicato suono di flauti, i peccati del mondo gli sfilassero davanti in un muto corteo. Fantasmi intravisti in sogno si facevano reali. Cose che non aveva mai neppur sognato si andavano rivelando. Era un romanzo senza intreccio e con un solo personaggio, essendo, invero, semplicemente lo studio psicologico di un giovane parigino che aveva passato la vita a cercare di realizzare nel diciannovesimo secolo tutte le passioni e le idee che appartenevano a ogni secolo tranne il suo e di riassumere, in un certo senso, in sé le varie concezioni attraverso cui lo spirito del mondo fosse mai passato, amando per la loro artificialità quelle rinunce che gli uomini hanno stoltamente chiamate virtù, quanto quelle naturali ribellioni che gli uomini saggi ancora chiamano peccati. Lo stile in cui esso era scritto era quel curioso, prezioso stile, vivido e scuro a un tempo, pieno d'inflessioni e arcaismi, di espressioni tecniche e di ricercate perifrasi, che caratterizza il lavoro di alcuni dei più raffinati artisti della scuola francese dei Symbolistes. C'erano in esso metafore mostruose come orchidee e altrettanto rare nel colore. La via dei sensi era descritta nei termini della filosofia mistica. A volte non si capiva se si stesse leggendo le estasi spirituali di un santo medievale o le confessioni morbose di un peccatore moderno. Era un libro velenoso. L'odore greve dell'incenso sembrava attaccarsi alle pagine e turbare il cervello. La stessa cadenza delle frasi, la sottile monotonia della loro musica, colma com'era di complessi ritornelli e movimenti preziosamente ripetuti, produceva nella mente del giovane, mentre passava da capitolo a capitolo, una specie di estasi, una morbosità sognante, che lo rendeva inconscio del cader del giorno e dell'avanzar dell'ombre.

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