Il Libro dell’Inquietudine: il Diario di un Uomo Moderno

Creato il 21 maggio 2013 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Mario Turco 21 maggio 2013

La prima a parlarmi de Il libro dell’inquietudine fu Lidia il giorno prima di gettarsi dalla finestra, folle creatura che non accettava la follia del suo internamento in un nosocomio. Quella sera mi aveva detto: «Ti dedico la mia morte affinché tu non possa mai diventare come Bernardo Soares». Da allora in poi non ho mai voluto sapere da cosa volesse salvarmi. Ero appena un ragazzo e nel mio vagheggiamento letterario lungo cinquant’anni ho evitato con tutte le accortezze del caso l’opera di Fernando Pessoa. Questo era l’incipit del racconto con cui a un certo punto avevo pensato di recensire Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares, uno degli eteronimi di Fernando Pessoa. Alla fine della lettura sentivo l’esigenza di costruire un dramma per il mio anziano ortonimo che facesse da contraltare a quell’“autobiografia senza fatti”, come è stata definita l’unica opera narrativa del poeta portoghese da me letta nella pubblicazione Universale Economica Feltrinelli (traduzione di Antonio Tabucchi e Maria Josè de Lancastre). L’edizione italiana è stata fortemente voluta e curata da Tabucchi che, come è noto, ne è stato grande estimatore e infatti consta di una sua introduzione. È lo stesso scrittore italiano che ci rende edotti sul processo creativo che sta dietro al Livro do Desassossego (titolo originale dell’opera), ricostruito 47 anni dopo la morte dell’autore. Il libro dell’inquietudine giaceva nascosto nella forma abborracciata di un brogliaccio di lacerti nel baule della casa di Pessoa a Lisbona. Il poeta per più di vent’anni, dal 1913 fino alla sua dipartita avvenuta nel 1935 a soli 47 anni per una cirrosi epatica dovuta ad abuso d’alcool, si era prodigato nella stesura di minuziosi frammenti (a volte redatti anche su materiali di fortuna come tovaglioli o occupando i margini di altre minute) che avrebbero in seguito dovuto trovare sistemazione in un progetto unitario. Eppure, nonostante l’incompiutezza formale e la totale assenza di una qualsivoglia linea narrativa, come ha scritto gran parte della critica siamo di fronte al «più bel diario del Novecento». Seguendo una linea di pensiero prettamente occidentale che va dal precursore del nichilismo, Leopardi, fino ad arrivare a Nietzsche, Kierkegaard e Bergson, Soares alias Pessoa fa toccare al crudo materialismo di questi autori vertici di lirismo grazie al peculiare stile simbolista.

In alcuni punti esso sembra implodere e quasi collassare di fronte alla pochezza del Reale ma Pessoa non cede né a quella sorta di autoindulgenza plenaria che accompagna autori più spirituali né al reciso rifiuto del consorzio umano. Il libro dell’inquietudine va oltre tutto ciò per pervenire a un’indomita indagine della propria anima posta di fronte all’indifferenza della Natura e al mistero del Divino. Il diario si trasforma nel dialogo di un uomo, Bernardo Soares (definito semi-eteronimo perché per lui Pessoa non aveva inventato nessuna biografia dato che era quello che più si avvicinava alla figura del poeta, però «priva di raziocinio e affettività»), con la sua anima. Nonostante l’immobilità del personaggio che raramente compie qualche gesto e sta più che altro a guardare dalla finestra del suo anonimo ufficio i verbi più utilizzati, alla maniera di un’elevatissima litania, sono “sentire” e “vedere” che specularmente rappresentano la mobilità delle sensazioni che agita l’inquieto protagonista. Tutto lo sconvolge, fossero nubi, tramonti, piogge, nulla lo lascia tranquillo. Tramite anacoluti e non sequitur di sconvolgente profondità Soares dà forma ad alcune delle sue peregrinazioni psicologiche ma non riesce mai ad appagare fino in fondo il suo infinito desiderio di infinito. La scrittura, il sogno, la trasfigurazione, il pensiero non sono che pallidi palliativi, estasi di un attimo perché all’uomo solo questo sembra concesso, l’eterno piacere del momento. Il libro dell’inquietudine rappresenta meglio di qualunque altro capolavoro ad esso contemporaneo il più bel manifesto poetico dell’uomo moderno, costretto dai demoni della sua razionalità e dalla morte di Dio, della gloria e della fiducia nelle sorti progressive dell’umanità, a rimestare nel torbido della sua anima sapendo che la salvezza dall’inquietudine non arriverà nemmeno dall’inazione. Essa, semplicemente, non sarà mai possibile.


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