Il littorio di Pierluigi

Creato il 15 giugno 2012 da Albertocapece

Pare incredibile che dal pensatoio del Pd sia uscito il via libera a un manifesto che ricorda il fascio littorio. E non solo nelle forme che vedete a fianco, nel frazionamento della bandiera, ma anche per i caratteri vintage e pesanti, la titolazione perentoria, persino la densità del colore che ricorda i tempi pre offset. E con un simbolo di partito così annegato nel rosso da apparire come una macchia, un errore di stampa. Questo ennesimo infortunio della comunicazione piddina pare avere caratteri del tutto opposti a quelli precedenti dominati da colori esangui quando non cimiteriali: adesso invece si punta su una densità visiva carica all’eccesso. Non so se questo accada perché si tratta di primarie e la spinta competitiva dentro il partito si scopra molto  più vivace che verso l’esterno.

Certo  è sconcertante che se primarie vere devono essere si metta in moto la macchina del partito per un solo candidato, sia pure il candidato segretario, è stravagante che il plurale maiestatis di “Accettiamo la sfida” precipiti poi su quell’ “Io mi candiderò” con un passaggio improvviso dai moduli verbali dell’uomo di Predappio a quelle di Rossella O’ Hara, Questi manifesti hanno di bello che non comunicano nulla né alla testa, né alla pancia Ma, tutto sommato, guardando l’insieme di queste affiches (ce n’è più di una, anche se la forma grafica rimane la stessa) si deve dare atto che non esiste difformità  tra il partito le sue proposte, il suo dibattito e la sua comunicazione: entrambi consistono in elencazioni di problemi senza che su nessuno di essi venga espressa una qualche tesi. E’ come se il Pd volesse mostrare che al contrario di altri movimenti e forze politiche rimane una specie di general purpose. Insomma non c’è trucco e non c’è inganno: è solo una lista di problemi  di cui non si indica una qualunque soluzione. E non è difficile ritrovarvi certi senza se e senza ma o certe vorticose marce indietro, il  navigare a vista nel limbo forzoso delle necessità e certi silenzi.

Intendiamoci non è che ci sia di meglio in giro e spesso c’è invece di molto peggio. Ma si rimane senza fiato di fronte all’evidente disparità tra i giganteschi problemi del Paese, sempre più gravi di giorno in giorno, alle scelte davvero storiche che ci attendono nel prossimo futuro e questi semplici elenchi di problemi, indici senza libro, atlanti muti della politica. Come se si fosse impietriti di fronte a ciò che sta accadendo.

Nel Settecento, specie a Napoli, era  uso che storici e saggisti facessero uscire in anteprima l’indice dei loro volumi di prossima pubblicazione, ma spesso questi fogli a stampa erano l’unico risultato concreto perché poi il libro non usciva mai. C’era anche una nota poesiola satirica nei confronti di uno storico molto prolifico di elenchi, ma sterile di volumi e chiedo venia per la grafia, ma vado a memoria” Chist’è l’innice e va bene/ tanta cose che c’hai messe/ ma si  o’ libbro nun ‘o tiene/ nun sì storico, sì fesse”.


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