Mi incuriosisce sempre tutto questo livore degli astronomi nei confronti dell’astrologia. Gli astronomi, dall’alto delle loro certezze scientifiche, dovrebbero essere al di sopra di queste meschinerie. Perché tanto livore nei confronti di una disciplina che, ai loro occhi, semplicemente non ha motivo di esistere? Fossi in loro, mi limiterei semplicemente ad ignorare questi portatori di un sapere arcaico, che a partire dall’osservazione del cielo arrivano a conclusioni totalmente irrazionali, prive di alcun fondamento scientifico. E invece no, si accaniscono. Perché?
Gli antichi dicevano che l’astrologia è una scienza e un’arte: una scienza perché parte rigorosamente dall’osservazione del dato astronomico e quindi della meccanica celeste, e un’arte perché per dare un senso a ciò che vede passa dalla visione meccanicistica di un mondo lineare e causale, propria del paradigma newtoniano e quindi di ogni scienza, ad una visione non lineare propria delle discipline che, a parità dei dati di partenza, non consentono l’esatta riproducibilità del fenomeno, come la medianità, la parapsicologia e la divinazione. Infatti, a partire dal dato astronomico, l’astrologia non è in grado di predire con esattezza eventi specifici, ma è in grado di fare pronostici che ci parlano del futuro, grazie alla comprensione dei modelli che stanno per emergere dal caos creativo dell’indifferenziato, leggibili su una mappa detta oroscopo.
Questa capacità dell’astrologia di passare da una valutazione della realtà oggettiva, propria del pensiero lineare e razionale, ad una visione non lineare e ciclica propria del pensiero pre-storico, è ciò che le consente di collegare il cosmo all’umano, e di dare un senso personale ad un’esperienza impersonale. Credo che il nocciolo del problema stia tutto qui, nell’incapacità dell’astronomo di dare un senso personale a ciò che osserva. Dato e senso non viaggiano più in tandem, e l’astronomo si trova ad osservare un cosmo privo di incanto, in cui non si riflette e che non riesce più a dare un senso personale alla sua vita. Invece di ostracizzare l’astrologo, credo farebbe bene a chiedersi che cosa lo induce a volersi ancora sentire un estraneo in un universo muto.