Il lungo addio: #adaptation

Da Matteobortolotti @bortolotti

IL LUNGO ADDIO

Secondo C.S. Lewis, “il marchio della perfetta amicizia non è il fatto di essere pronti a prestare aiuto nel momento del bisogno, ma il fatto che, una volta dato questo aiuto, nulla cambia”. Per alcuni l’amicizia è l’amore senza le ali, per altri ancora non si è amici che per alcune cose. Siamo pianeti che si sfiorano le orbite, solidali soprattutto con chi viaggia nella nostra stessa direzione, eppure capita che le amicizie più durature e gratuite, le intessiamo con persone apparentemente diverse da noi… L’amore forse è meno misterioso dell’amicizia. L’uno a volte ci fa tradire, l’altra spesso viene tradita. C’è qualcosa che fa scattare il legame con l’altro, un legame che poi scava a fondo. Può essere lo stesso periodo della vita, la stessa scuola, le stesse difficoltà economiche o lavorative, la stessa donna (ma questo è un caso raro e particolare). Più di tutto, credo che il giardiniere dell’amicizia, ciò che le permette di affondare le sue radici nel terreno comune tra noi e gli altri – reggetevi forte, – siano i valori. In un mondo che si sta sbriciolando come una sfogliatella vecchia di una settimana, vi voglio parlare di uno dei manifesti di quel romanzo morale – Jean-Patrick Manchette dixit, – che è il genere hard-boiled. Philip Marlowe, per me che sono anche scrittore di “giallo”, è l’equivalente di Mahatma Gandhi per un praticante della non-violenza. Phil lo conoscete tutti, è “il” detective privato. Ha il vizio del cicchetto, degli scacchi e dell’integrità morale. “Il lungo addio” è la storia della sua amicizia con Lennox, un uomo abietto. Marlowe si farà torturare dalla Polizia e dalla mafia per proteggerlo, incapperà in una serie di omicidi collegati tra loro e capirà solo alla fine qualcosa in più della persona a cui ha consegnato tanta fiducia. Robert Altman a vent’anni precisi dalla pubblicazione del romanzo, ne ha tratto un film che è stato rivalutato da poco. Un adattamento con la mano pesante, per un personaggio che è stata anche un’icona cinematografica precisa (leggi Bogart, Mitchum, ecc.). Scritto da Leigh Bracket, raccoglie alcuni spunti da Chandler, ma cambia il finale in modo sensibile. Leggete il romanzo, guardate il film con un grandioso Elliott Gould e dopo scriveteci. Vi sfido: qual è più morale e qual è più moralista? Buone Storie di uomini tutti d’un pezzo.


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