Un capitolo de “Una cosa piena di mistero”, Eudora Welty lo dedica al luogo in narrativa. Bizzarro argomento a prima vista, vero?
Prima di procedere: il sottotitolo “Saggi sulla scrittura” non lascia scampo. Però se devo essere sincero, lo avevo snobbato. Non perché fossi a caccia del titolo “101 modi per vendere 1 milione di libri, diventare ricco e trasferirsi a Palo Alto”.
Ma, come forse ho già scritto, è un libro differente da quelli che indagano sulla scrittura. Siccome non esistono regole, solo l’indagine può aiutare a capire qualcosa dello scrittore, del suo modo di lavorare, del suo mondo. E ogni “reato” è solo in apparenza uguale a un altro. Per questo è sempre indispensabile indagare.
Se la scrittura è di valore, efficace, spesso essa si accompagna proprio con il luogo. Penso al sud degli Stati Uniti di Flannery O’Connor; o al “Carver Country” del buon Raymond. Possiamo lasciar fuori da questo ragionamento il Vasterbotten di Torgny Lindgren? E Dostoevskji con la sua San Pietroburgo? Dickens e la sua Londra di “Casa Desolata”? La Marsica di Silone? E gli esempi potrebbe continuare a lungo.
Grande o piccolo che sia, il luogo è uno degli elementi di cui la scrittura non può fare a meno. Il rischio tuttavia è di lasciarlo sullo sfondo; non è forse quello il suo ruolo? Non deve fare da scenario, obbediente e muto?
Gli esempi degli autori citati prima raccontano un’altra storia in verità. È come se solo imparando a guardarsi attorno, a osservare, si riesca a trovare la propria voce, e poi offrirla al lettore.
Il luogo non è mai qualcosa di astratto o distante; è lì che noi siamo, respiriamo, facciamo esperienze. È lui che attraverso i sensi ci plasma, o ci parla. Sta a noi avere la capacità (e affinarla poi con l’esercizio), di dargli una dignità più grande, un risalto maggiore.
Il luogo poi, può essere qualcosa che non ci appartiene, ma che abbiamo eletto a nostra patria. Pensiamo alla Spagna di Hemingway, lui che era americano. Ma esiste, ha un peso preciso, un ruolo fondamentale.
Come ho già scritto in passato, quando si scrive non c’è qualcosa da curare in modo particolare, e qualcos’altro da lasciare andare. Di certo il luogo è proprio un attore che spesso si lascia da parte; in favore della trama, del personaggio, dell’intreccio. Tutte cose importanti, ci mancherebbe.
Però la lettura di questo capitolo della Welty ha aperto uno spiraglio, gettando una luce inedita sulla mia riflessione a proposito della narrativa. La scrittura è davvero democratica, perché non c’è MAI un elemento messo lì a tappare un buco. Deve avere invece una sua funzione, oppure è inutile.
Tutto questo a parer mio è esaltante. E divertente.