Il made in Italy che rischia di non esserci più
Creato il 17 marzo 2014 da Funicelli
La settimana scorsa Presa diretta si è occupata delle
sofisticazioni alimentari spiegando come molte aziende usino il
marchio made in Italy solo come specchietto per le allodole.
Di olio italiano, in molte bottiglie, non c'è nemmeno l'ombra.
Se va bene è spagnolo, con grave danno ai nostri agricoltori e
quelli spagnoli, schiacciati dalla grande distribuzione dai grandi
marchi.
Questa sera Riccardo Iacona e i suoi giornalisti parleranno del
tessile: altro settore in crisi, altro settore di punta di quello che
dovrebbe essere il made in Italy da difendere a tutti costi.
Ma la realtà dice che i grossi nomi sono stati comprati da
aziende e gruppi stranieri: l'ultimo in ordine di tempo, è stato il
marchio Krizia
comprato dai cinesi:
Il gruppo italiano di moda Krizia è stato venduto ai cinesi
della Shenzen Marisfrolg Fashion, azienda attiva nel mercato asiatico
del pret-a-porter di fascia alta. La formalizzazione dell'accordo è
attesa per aprile. Lo rende noto, in un comunicato apparso sul suo
sito web, la fondatrice del marchio, Mariuccia Mandelli: "La
nuova proprietà porterà Krizia a raggiungere nuovi successi nel
mondo".
Vedremo quanta parte della produzione
rimarrà in Italia.
Perché, nonostante sia il secondo
settore per numero di occupati, il tessile è in prodonda crisi anche
per colpa dell'aggressiva concorrenza dei cinesi.
Come nel distretto di Prato, dove hanno
colonizzato un intero distretto, tagliando fuori i piccoli
imprenditori italiani.
Concorrenza che nasce dallo
sfruttamento della manodopera e dal non rispetto delle norme di
sicurezza. A
Prato, nel dicembre scorso, un incendio in un'azienda dormitorio
ha ucciso sette operai.
Cosa è cambiato dalle prime denunce
fatte, anche da altre trasmissioni di inchiesta come Report (anche sul distretto dei divano a Forlì)?
La crisi delle imprese italiane porta
come effetto la delocalizzazione del lavoro in paesi dove controlli e
stipendi sono conciliabili col nuovo ordine industriale.
Quello per cui diritti, tutele,
stipendi dignitosi sono cose che non possiamo più permetterci.
Anche la svolta buona di Renzi, in
fondo, segue una direzione simile, liberalizzando i contratti a
termine per i primi tre anni, come anche i contratti di
apprendistato.
Ma c'è qualcosa che, nella delocalizzazione selvaggia, va oltre
le leggi del profitto ad ogni costo: Liza Boschin è andata in
Bangladesh a girare un reportage sconvolgente sulle condizioni di
lavoro locali. In Bangladesh i grandi marchi vanno a produrre i loro
capi sfruttando il costo bassissimo della manodopera.
Nel luglio del 2013 il palazzo Rana
Plaza è crollato su se stesso uccidento 1000 operai
che qui lavoravano: "Sotto le macerie del Rana Plaza sono ancora
sepolti 200 corpi... e la coscienza sporca dell'occidente"
racconterà stasera Iacona a commento delle drammatiche immagini.
Si chiama libero mercato e logica del profitto, ma è
semplicemente una nuova forma di schiavismo, fatto dal ricco
occidente che si compra la benevolenza dei governanti locali.
Quel palazzo era già dichiarato inagibile, infatti. Ma chi
lavorava lì non poteva protestare, né per le condizioni di lavoro,
né per il basso salario. Niente sindacati. Niente ispettori del lavoro.
Al Rana Plaza, venivano prodotti anche capi di Benetton
:
“Dopo la smentita ufficiale, l'amministratore delegato ammette:
nell'edificio crollato una ditta locale aveva prodotto direttamente
per l'azienda fino a un mese fa, e continuava a lavorare in
subappalto. Decisive le foto di indumenti firmati tra le macerie”.
Mentre politici e grossi marchi
continuano a riempirsi la bocca con le parole “made in Italy”,
questo succede nel nostro paese. Che rischia di diventare un deserto
di fabbriche chiuse. A meno di non voler fare la concorrenza a posti
come il Rana Plaza.
Un paese senza futuro, o col futuro
precario.
La scheda della puntata: Made
in Italy:
A PRESADIRETTA un lungo viaggio nella crisi di uno
dei settori trainanti dell’economia italiana e da sempre
simbolo di cultura e qualità: il Made in Italy.
Un’inchiesta
girata tra l’Italia, la Francia e il Bangladesh. Le
telecamere di PRESADIRETTA hanno girato un reportage
sconvolgente in Bangladesh, il paese dove i grandi marchi di tutto il
mondo vanno a produrre i loro capi sfruttando il bassissimo costo
della mano d’opera. Il paese dove un anno fa è crollata la
fabbrica di Rana Plaza, già dichiarata inagibile, lasciando sotto le
macerie più di mille lavoratori. Un paese dove gli operai che
lavorano per l’Occidente guadagnano poche decine di dollari al
mese, non hanno diritto di chiedere aumenti ne’ di
manifestare.
PRESADIRETTA è andata nel centro e
nel nord Italia per raccontare la crisi del tessile, il
secondo comparto industriale italiano per numero di lavoratori, che
in questi ultimi anni di crisi ha perso più di 85mila posti di
lavoro. E soprattutto, per capire le ragioni della crisi di questo
settore. Non solo la concorrenza dei laboratori cinesi e
la delocalizzazione nei paesi dove il costo della forza
lavoro è sempre più basso, ma anche la pratica di esternalizzare
porzioni della produzione all’estero, per poi assemblare in Italia
e applicare l’etichetta “Made in Italy”.
Nel frattempo
Bulgari, Loro Piana, Pucci, Gucci, Ferré, Valentino, Krizia, i più
prestigiosi tra i nostri marchi della moda e del lusso non sono
più italiani. Sono stati comprati da grandi gruppi stranieri.
Il nostro paese diventerà “la Cina del lusso”? - See more at:
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“MADE IN ITALY” è un racconto di Riccardo Iacona, con Liza
Boschin, Lisa Iotti, Elena Marzano, Elena Stramentinoli.
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