“Il Maestro del Giudizio universale” di Leo Perutz

Creato il 11 ottobre 2012 da Sulromanzo

A lungo Leo Perutz è stato considerato uno scrittore di puro svago, forse anche a causa di Bertolt Brecht che in qualche modo ne sminuì il valore letterario dei romanzi, definendoli dei semplici, ottimi compagni per lunghi viaggi in treno. Se i suoi titoli in Europa conobbero una certa diffusione fu soprattutto grazie all'intervento di alcuni amici, tra cui Jorge Luis Borges, uno dei suoi massimi estimatori, che contribuì alla promozione e traduzione delle opere di Perutz in lingua spagnola. L'attività artistica è senza dubbio scandita dalle vicende personali: a Vienna, Perutz frequentò i migliori caffè letterari e prese parte a numerosi viaggi fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. È questo il periodo di maggior successo professionale, all'incirca dal 1915 agli anni Trenta; in seguito all'annessione dell'Austria alla Germania nel 1938, egli è costretto a un esilio forzato in Palestina (la famiglia è di fede ebraica, anche se non praticante). La permanenza all'estero non fu felice, poiché non parlava la lingua: si esprimeva in tedesco, dal momento che si considerava appartenente alla cultura mitteleuropea, nutrendo una profonda nostalgia nei confronti del paese e degli amici che era stato costretto a lasciare. Con la fine della guerra Perutz tornò in Europa, non riuscendo più a emergere e morendo di embolia polmonare nel 1957.

Leo Peruz non è solo uno scrittore di gialli o di romanzi storici: egli è entrambe le cose. Uno dei segni distintivi dei suoi libri è senza dubbio quello di riuscire a inserire personaggi con dei tratti caratteriali ben delineati all'interno di contesti temporali precisi, descrivendo in maniera dettagliata gli usi, i costumi, gli ambienti e il registro linguistico dei diversi ceti sociali coinvolti nel racconto. “Il Maestro del Giudizio universale” fonde tutti questi elementi con una trama avvincente, ispirata alla migliore tradizione giallistica, e uno stile di scrittura raffinato, elegante, ma mai ampolloso o retorico. La lettura scorre veloce, coinvolgendo sin dalle prime pagine: una sera, l'attore Eugene Bischoff si toglie la vita, mentre in casa sua sono ospiti il distinto barone Von Yosch e un gruppetto di amici. In realtà, in molti sono convinti che si tratti di omicidio e, mentre in un primo momento Von Yosch medita di partire per allontanarsi dal clima di sospetto che aleggia soprattutto su di lui, successivamente si mette alla ricerca del vero colpevole. Partecipano alle indagini anche un medico e un impetuoso ingegnere, quest'ultimo particolarmente interessato a giungere alla soluzione del caso. Ben presto, si scopre che il decesso di Bischoff è legato ad altre misteriose morti, unite insieme da un sottile filo rosso rappresentato da un libro, detentore di un arcano e pericoloso segreto. Ma quando l'enigma sembra svelato, arriva un colpo di scena del tutto inaspettato che lascia interdetti, ed è esattamente in quel momento che Leo Perutz smette di essere l'autore volto all'intrattenimento di Brecht e diventa un vero e proprio “genio”, come l'ha definito il padre di James Bond, Ian Fleming. Perché al giallo e alla storia si unisce anche la componente psicologica dei personaggi, puntualmente alterata, suggestionata dagli eventi: ad un tratto diventa difficile distinguere la realtà dalla finzione, la perfetta ricostruzione esterna degli avvenimenti collide con l'interiorità caotica dei caratteri, mentre un episodio casuale dà vita una serie di reazioni a catena imprevedibili e surreali, finché la verità stessa viene messa in discussione e il lettore non può far altro che fornire una sua personale, e mai univoca, interpretazione dei fatti.

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