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Il malessere del corpo: Anoressia e Bigoressia due facce della stessa medaglia (1 parte)

Da Psychomer
by Paola Sacchettino on giugno 20, 2011

“Spesso il male di vivere ho incontrato:  

 era il rivo strozzato che gorgoglia,  

era l’incartocciarsi della foglia  

riarsa, era il cavallo stramazzato.”  

(E. Montale)  

Ad una positiva costruzione dell’identità, con il conseguente formarsi di un alto livello di autostima, ottenute lavorando sulla costruzione di un corpo sano ed una mente e psiche in equilibrio, si contrappongono tutte le forme di patologia che, una distorta visione dell’immagine corporea, possono insorgere in un essere umano.  

Al pari della donna, l’uomo non è esente da tali forme di disagio e un’eccessiva preoccupazione per la forma fisica od un’ossessiva ricerca di un modello corporeo che rientri nei canoni dettati dai mass media, possono portare sia l’una, sia l’altro a forme di patologia e di sofferenza più o meno gravi.  

Un’alterata percezione del peso e dell’immagine corporea portano con sé disturbi che costituiscono quadri clinici d’interesse psicologico e sociale non indifferente.  

Nei paesi occidentali si è verificato negli ultimi decenni un notevole incremento della loro incidenza; nel nostro Paese ne soffrono oggi 10 ragazze su 100 in età di rischio; di esse, una o due cadono nelle forme più gravi (anoressia e bulimia), le altre soffrono di sindromi parziali.  

Il rapporto femmine – maschi è 9 a 1 (Ministero della Salute, 2000).  

L’obesità non compare nella classificazione del DSM IV poiché non ne è accertata l’associazione costante con alcuna sindrome psicologica o comportamentale.  

In relazione all’anoressia e alla bulimia, il DSM IV (APA 1995, pp. 591 sgg. trad. ii.) riferisce di una prevalenza rispettivamente dello 0,51% e di circa 13% di casi tra giovani donne nella tarda fascia adolescenziale o nella giovane età adulta. La medesima fonte indica che il 90% dei casi di anoressia si sviluppa nel sesso femminile e che il tasso di presentazione nel sesso maschile della bulimia è circa un decimo rispetto a quello del sesso femminile (Borgna 2005).  

Anoressia, bulimia e distruzione del corpo al femminile  

   

I disordini alimentari riguardano, in Italia, circa tre milioni di persone e, mentre i valori dell’anoressia sono piuttosto stabili, quelli della bulimia nervosa sono in aumento. In me­dia i disturbi compaiono intorno ai 7 anni, ma l’associazione italiana dei pediatri ha rilevato che già nelle scuole medie il 60.4% delle ragazzine vorrebbe essere più magra, il 24% ha già sperimentato una dieta e il 34% si è rivolto a un medico per farsela prescrivere.  

I ricercatori statunitensi segnalano nei campus americani un au­mento preoccupante dei disturbi alimentari che coinvolgerebbe circa un terzo delle studentesse. Tali disturbi non sono infrequenti tra atlete e ballerine.  

Particolarmente colpite, nel mondo dello sport, sono le ginnaste, spesso cosi minuscole da sembrare molto più giovani della loro età; un problema presente anche nelle ballerine di danza classica, spesso impegnate in un duplice confronto quotidiano: con la bilancia e con le proprie compagne (Cicerone 2010; Oliverio Ferraris 2009).  

Mangiare è un bisogno primario, ma tra gli esseri umani questo bisogno può essere investito o sovraccaricato di significati ed emozioni. Il cibo può diventare un campo di scontro tra pulsioni, desideri ed opposte sensazioni: mangiare e digiunare, riempirsi e dimagrire, godere e provare disgusto. Lo scontro tra impulsi opposti è presente nell’anoressia come nella bulimia nervosa, due forme di controllo del peso che passano o attraverso il digiuno o attraverso il vomito indotto: il 90% delle persone anoressiche e bulimiche sono di sesso femminile.  

Oggi il modello di riferimento di queste giovani donne sono le modelle, eteree e filiformi (Oliverio Ferraris 2009).   

L’anoressia è una malattia complessa, che nasce dall’interazione di fattori biologici, genetici, ambientali, sociali, psicologici e psichiatrici e si manifesta con l’ossessiva necessità di mantenere il controllo sul proprio corpo attraverso il digiuno. Si punta a una bellezza che concepisce esclusivamente un corpo magro, anche se le rinunce iniziali si trasformano presto in rituali di “affamamento” che non hanno più niente a che vedere con i distorti canoni estetici della nostra epoca e che spesso le giovanissime condividono attraverso blog e siti che fanno dell’anoressia una sorta di religione. E’ un disturbo soprattutto femminile, anche se negli ultimi anni sono sempre più frequenti i casi di maschi anoressici e sta emergendo un disturbo specificamente maschile, la bigoressia, in cui l’obiettivo da raggiungere non è la magrezza, ma un corpo muscoloso visto come indispensabile fonte di felicità e gratificazione.  

La conseguenza principale dell’anoressia e della bulimia nervosa è la dismorfofobia (dal greco dismorphie, forma distorta e phobos, timore); essa genera una visione distorta del proprio aspetto esteriore: chi ne soffre vede difetti inesistenti o accentuati fino alla mostruosità, arrivando a sviluppare un vero e proprio odio per il proprio aspetto fisico che lo porta a ricorrere in modo ossessivo alla chirurgia plastica o, nei casi più gravi, all’isolamento e al suicidio.  

Sui motivi che spingono una giovane ad affamarsi, oppure a purgarsi o a indurre il vomito dopo aver mangiato, per aderire ad un’immagine ideale del proprio corpo e di sé sono state fornite interpretazioni diverse: rifiuto di una sessualità normale; rifiuto della femminilità e dell’identificazione con la propria madre; desiderio eccessivo di piacere al padre; vittima sacrificale della rivalità che in famiglia esiste tra i due genitori; una disfunzione dei centri cerebrali della gratificazione; depressione; solitudine; ruolo svolto dai modelli di successo proposti della società. Trattandosi di sintomi complessi, le cause possono essere più d’una nello stesso soggetto e potenziarsi a vicenda; il fatto però che la buli­mia nervosa sia in aumento mette in primo piano i modelli sociali. La società dell’immagine propone modelli di magrezza associati al successo, alla bellezza, all’ammirazione degli altri, il che incoraggia molte adole­scenti e preadolescenti ad identificarsi con essi in un’età in cui le ragazze sono alla ricerca di un’identità nuova rispetto a quella infantile (Cicerone 2010; Oliverio Ferraris 2009; Favara 2008; Gura 2008; Borgna 2005; Nardone, Verbitz, Milanese 2005)  

Ciò che mi nutre mi distrugge  

Un’insolita civiltà, da un luogo di culto situato nel cyberspazio, così si rivolge alle sue adepte: “Permetti­mi di presentarmi, il mio nome, o quello datomi dai cosiddetti medici, è Ano­ressia, ma tu puoi chiamarmi Ana. Pos­siamo diventare grandi socie. Nei prossi­mi tempi, investirò molto tempo con te e mi aspetto lo stesso da parte tua. Mi occuperò di far diminuire il tuo apporto calorico e farti aumentare l’esercizio fisi­co. Ti spronerò al limite. Dimenticati di chiunque provi a portarmi via. Sono il tuo bene più grande”.  

Ana ha costole spor­genti, guance scavate e sorride dalle pa­gine web alle sue adepte, è una dea po­tente in grado di radunare schiere di ra­gazze, una dea a cui sacrificare la propria vita. Basta digitare qualche parola chiave per entrare in questo mondo, che ha un motto latino a scandirne l’ingresso: “quo me nutrit me destruit” (ciò che mi nutre mi distrugge).  

Si chiamano Pro – Ana: sono siti, blog, chat, community o forum, quasi sempre pri­vati, dove si dispensano consigli su come “liberarsi dalla carne”. Questi forum, cioè gruppi di discussione on line, favoriscono la crea­zione di comunità virtuali esclusive, nelle quali sono invitate ad entrare solo le persone che condividono i principi della “filosofia Pro – Ana”, i principi della magrezza assoluta (Oliverio Ferraris 2009; Favara 2008; Gura 2008; Faccio 2005).  

Proprio come se fossero membri di una setta segreta, o di una élite privile­giata, i componenti di questi gruppi hanno adot­tato un loro segno di riconoscimento che si con­cretizza in un braccialetto, di colore rosso per de­finire Ana, e di uno blu per definire Mia, nome che indica la bulimia; sono entrambi costituiti da una farfallina da portare sul braccio sinistro e da esibire, nel caso si incontri un’altra persona altret­tanto provvista di braccialetto per segnalare la condivisione di una stessa filosofia.  

Ciò che a noi appare una malattia, per gli adepti di questa setta estesa è un progetto di vita, oltre che un’ideologia a sfondo parareligioso (Favara 2008).  

I siti Web Pro – Ana operano una selezione tra co­loro che vogliono entrare, valutando la loro effettiva motivazione e negando l’accesso a chi non ha i prerequisiti per diventare un’adepta affidabile e riservata.  

Una volta ammessi, ci si trova confusi e attoniti per la molteplicità di materiali: foto di donne magrissime, esaltazione di modelle scheletriche, un equivalente forse alle danze macabre dipinte sui muri delle chiese del tardo Medioevo. L’o­biettivo è di ridurre anche l’ultima caloria, attra­verso una privazione più rigida di qualsiasi mor­tificazione religiosa della carne mai imposta ai fe­deli. Con estenuanti esercizi fisici, il sudore che cola dai volti e acceca i loro occhi, le adepte di Ana realizzano quel mo­dello di perfezione che ogni rivista di moda con­temporanea non cessa di propagandare. Una mol­titudine di donne reali o immaginarie attraver­sano diafane un mondo patinato che le avvolge nel loro essere figure ideali (Favara 2008; Gura 2008).  

Nei siti si trovano anche consigli per imparare vomitare con semplicità, regole da seguire per apprendere a digiunare e innovativi documenti tipo “I 10 comandamenti di Ana” e “Il credo Ana” in cui, per esempio, i precetti alimentari svolgono la funzione non solo di favorire il dimagrimento, ma sono anche una prova di obbedienza e dimostrazione di autocontrollo (Favara 2008; Gura 2008; Nardone, Verbitz, Milanese 2005).  

Questi principi possono essere rintracciati attraverso le parole di una blogger:  

“La mia sporca anima malvagia mi stava trascinando in cucina, ma Ana mi ha salvata… mi ha tirata per un braccio. Grazie mia dolce dea. Spero che tutto questo dolore possa andar via insieme a questo schifoso grasso che ricopre la purezza del mio essere e so che tu mi terrai per mano”   

-   I 10 Comandamenti di Ana   

  1. Se non sei magra, non sei attraente.
  2. Essere magre è più importante che essere sane.
  3. Compra dei vestiti, tagliati i capelli, prendi dei lassativi, muori di fame, fai di tutto per sembrare più magra.
  4. Non puoi mangiare, senza sentirti colpevole.
  5. Non puoi mangiare cibo ingrassante senza punirti dopo.
  6. Devi contare le calorie e ridurne l’assunzione di conseguenza.
  7. Quello che dice la bilancia è la cosa più importante.
  8. Perdere peso è bene, guadagnare peso è male.
  9. Non sarai mai troppo magra.
  10. Essere magre e non mangiare sono simbolo di vera forza, di volontà e autocontrollo.

Il credo di Ana  

  1. Credo nel controllo, l’unico potere forte abbastanza da portare ordine nel caos che è la mia vita. Credo che, se sono grassa, sono l’essere più disgustoso del pianeta e non merito le attenzioni di nessuno.
  2. Credo negli sforzi, nei doveri e nelle auto-imposizioni come infrangibili leggi per determinare il mio comportamento quotidiano.
  3. Credo nella perfezione e mi sforzo per ottenerla.
  4. Credo nella bilancia come indicatore dei miei successi e fallimenti quotidiani.
  5. Credo nell’inferno perché ogni tanto mi sembra di viverci dentro.

Continua…


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