Il calcio è una delle più importanti manifestazioni culturali del nostro tempo. Anzi, il calcio è la più importante manifestazione culturale del nostro tempo. Niente tocca la gente quanto il calcio, niente unisce così tanto le persone. Nessun evento cattura l’immaginazione e l’attenzione quanto una partita di calcio. Ogni settimana, in tutto il mondo, milioni di persone vanno allo stadio o giocano a calcio. Ogni giorno milioni di persone accendono la tv, la radio o il computer per guardare, ascoltare o commentare una partita di calcio.
Il calcio è un fenomeno globale con un pubblico globale e un linguaggio internazionale, un gioco che trascende la nazionalità e la classe sociale. Eppure risulta stranamente ignorato dal dibattito politico. Le politiche che governano il calcio, infatti, non sono mai prese in considerazione durante le campagne elettorali, nazionali o locali. I politici si occupano raramente del calcio, e quando lo fanno è sempre per i suoi aspetti negativi come la violenza negli stadi. Il calcio è molto importante, ma politicamente sembra insignificante.
Le cose, però, stanno finalmente cominciando a cambiare. I tifosi si stanno organizzando contro le forze globali, nazionali e locali a cui rimproverano di aver stravolto o rovinato il loro gioco. Chiedono una fetta maggiore dei miliardi di euro che le tv versano nelle casse dei club e nelle tasche dei top player. Vogliono più controllo e considerazione, più democrazia, meno avidità aziendale e meno commercializzazione.
Questo movimento ha prodotto un manifesto del calcio, il cui titolo, This game is our game, strizza l’occhio a Woody Guthrie. Il testo, presentato a marzo in concomitanza con la campagna elettorale britannica, elenca una serie di richieste rivolte alla Premier league, il campionato più ricco del mondo, e ad altri attori globali del gioco. Come sottolinea il manifesto, il calcio è l’esempio per eccellenza del malfunzionamento del sistema e del modello economico trickle-down (letteralmente effetto sgocciolamento dall’alto al basso). Per citare il manifesto, “c’è qualcosa che illustra le conseguenze dell’opulenza privata e dello squallore pubblico in questo paese meglio della mancanza di rispetto per le radici del gioco da parte della Premier league?”.
Cosa chiede il manifesto del calcio?
Più potere ai tifosi nell’ambito delle politiche societarie e dell’identità del club (si vedano i grotteschi casi recenti del Cardiff City, il cui proprietario ha provato a cambiare i colori sociali, e dell’Hull City, la cui proprietà ha addirittura proposto di cambiare il nome della squadra) ma anche biglietti più economici e stadi che non siano centri commerciali riservati ai ricchi e dove i tifosi servono solo a creare atmosfera e bivaccare sugli spalti.
Riforma e democratizzazione delle organizzazioni spesso corrotte e antidemocratiche che controllano il gioco, tra cui la Football association, la Fifa (naturalmente) e gli stessi club. I tifosi dovrebbero essere rappresentati a tutti i livelli (e in merito c’è già una serie di proposte) perché senza di loro il calcio non esisterebbe. Eppure, le istituzioni che gestiscono il calcio guadagnandoci milioni di euro si rifiutano di riconoscerlo.
Redistribuzione della ricchezza. I miliardi pagati dalle tv devono essere redistribuiti facendo più attenzione alla base, ai tifosi e alle aree del gioco che sono poco finanziate, come il calcio femminile. Il manifesto chiede una tassa sui profitti e una maggiore pressione fiscale sulle società che operano nel settore del gioco d’azzardo, la cui pericolosa influenza si fa sentire a diversi livelli.
Diversità. Tutti giocano a calcio: immigrati, piccole comunità, donne e uomini. Tuttavia questa diversità non è abbastanza rappresentata nelle strutture che controllano il gioco e i club. Il manifesto chiede un cambiamento radicale con l’introduzione di quote e regole per garantire un’adeguata rappresentanza a tutti i livelli.
Scritto in modo mirabile, il manifesto è una chiamata alle armi, e si conclude presentando “un modello di economia calcistica più giusto e socialmente responsabile, un sistema di governo calcistico più democratico ed efficace e una cultura calcistica che si basi sulla diversità, sull’atmosfera e sulla partecipazione. Il manifesto si rivolge ai politici di tutti gli schieramenti, alle autorità calcistiche e al pubblico. Il calcio, come tutto nelle nostre società, potrebbe essere diverso e potrebbe essere migliore”. Speriamo che i politici e le persone ai vertici del potere ascoltino queste proposte. Se non sarà così, sempre più tifosi dovranno agire, magari organizzando uno sciopero del tifo, un giorno in cui nessuno va allo stadio né accende la tv. Scommetto che a quel punto i vertici reagirebbero alla svelta.
articolo di John Foot su Internazionale.it Traduzione di Andrea Sparacino da: fondazionetaras.it