La fuga, cominciata cinque settimane fa, iniziò a causa di una manovra sbagliata da parte dei tecnici della piattaforma che la Chevron comparte con la svizzera Transocean. Proprio la Transocean è la stessa compagnia implicata nel disastro del Golfo del Messico, dell’aprile 2010: undici morti e cinque milioni di barili di petrolio versati sulle coste della Louisiana, un danno ambientale incalcolabile. La polemica poi si ampliò quando a fine anno i dirigenti della Transocean, nonostante le vittime ed i casini provocati, si premiarono con bonus di vari milioni di dollari.
Anche nell’incidente brasiliano non è mancata la controversia. Secondo i brasiliani, l’allarme venne dato con studiato ritardo e solo grazie alla denuncia di un’unità della Marina, quando già un’area pari a 240 chilometri quadrati di oceano era stata ricoperta dal combustibile, creando un’enorme macchia che rischiava di invadere il litorale (Campo de Frade si trova a 120 chilometri da Rio de Janeiro). La fuoriuscita con il passare del tempo è stata ridotta (notizia confermata dalle autorità brasiliane), ma un paio di giorni fa il personale della Chevron ha dovuto ammettere in conferenza stampa che esiste ancora una fuga limitata di petrolio e di non essere in grado di valutare i tempi per controllare definitivamente l’emergenza.
Il governo brasiliano a fine novembre ha comminato una multa di 28 milioni di dollari alla multinazionale per danni ambientali nonchè la sospensione del permesso di estrazione. Ora, è arrivato l’esposto della Procura di Rio, che chiede il risarcimento milionario e la moratoria di tutte le attività della multinazionale in Brasile. La Chevron, che in America Latina è guidata dall’iraniano Ali Moshiri, ha rilasciato nei giorni scorsi dichiarazioni infuocate, dicendosi offesa per le sanzioni imposte o minacciate dal governo brasiliano. Non sono poi mancate le accuse contro Petrobras, la compagnia petrolifera di partecipazione statale, accusata di aver sparso nel 2010 una quantità maggiore di greggio in operazioni e che non ha affrontato multe o sanzioni.
Eppure, nonostante i danni provocati in Ecuador (qui la storia: http://www.mauriziocampisi.com/chevron-in-ecuador-condanna-sospesa/) e l’incidente al largo delle coste brasiliane, la Chevron sta espandendo i propri affari in America Latina. Nei giorni scorsi ha infatti firmato il rinnovo fino al 2032 della concessione dei più grandi pozzi dell’Argentina, quelli del Neuquén, con una capacità di trentamila barili quotidiani. Per ottenere la firma la Chevron ha dovuto rinunciare all’esenzione di imposte e pagare 64 milioni di dollari di tasse evase, non proprio un esempio di rettitudine e solidarietà sociale. D’altronde non c’è aspettarsi molto: in Ecuador, dove è stata condannata a pagare una multa di 19000 milioni dollari per la distruzione dell’ecosistema della regione di Lago Agrio, la Chevron ha annunciato battaglia, controdenunciando tutti i danneggiati dall’inquinamento ambientale. Come dire: oltre il danno, la beffa.