Poi è saltato fuori che il suo avversario sarebbe stato Romney.
Siamo seri. Romney lo batterei perfino io.
Ma ciò che più interessa, seguendo le presidenziali americane, è il marketing delle parole: comunque vada, sarà lui il vero vincitore, perché ogni singola parola è stata scelta dai due candidati per ottenere un effetto preciso e calibrato sul pubblico.
Il gruppo Expert System, attraverso la tecnologia semantica “Cogito”, ha analizzato il linguaggio usato dal Presidente Obama e dallo sfidante Romney durante i dibattiti del 3, 16 e 22 ottobre, elaborando conclusioni generali basate sulle scelte linguistiche dei due politici.
In generale, Romney ha parlato di più, circa il 14% in più rispetto a Obama, in base al numero di parole pronunciate. Quelle ripetute più spesso sono state: “people”, “job” e “America”, che rappresentano i concetti che stanno più a cuore all’elettorato. Obama invece ha usato più spesso due verbi: “do” e “make”, termini concreti che suggeriscono un’idea di produttività e operatività, mentre l’aggettivo che ha pronunciato più spesso è stato, naturalmente, “american”, per sottolineare quel senso di appartenenza fondamentale per i suoi seguaci.
Oltre l’80% delle parole utilizzate da entrambi sono di uso corrente, ma anche un restante 16% è costituito da termini sempre e comunque comuni, perché l’esposizione semplice è più accessibile e di più immediata comprensione e non richiede capacità di astrazione da parte di chi ascolta.
La sensazione generale è stata che ogni frase, ogni tono di voce, ogni pausa avessero un significato preciso in termini di “effetto” sull’elettorato, ed entrambi i candidati sono stati molto bravi e scrupolosi nell’esposizione, sia a livello di forma sia a livello di contenuto, almeno fino a quando Romney si è lanciato nella promessa di 12 milioni di posti di lavoro in 4 anni.
Quelli poteva prometterli solo Berlusconi, che faceva girare l’economia reclutando escort.