Il metaforico giuoco dei racchettoni

Da Silvia

Questa estate io e te abbiamo giocato molto a racchettoni sulla spiaggia.
Abbiamo giocato sotto al sole, sulla sabbia bagnata, su quella rovente e sottile, con i piedi nell'acqua, lontani dagli ombrelloni.
Io e te, questa estate abbiamo iniziato a contare gli scambi che riuscivamo a fare, giocavamo a conoscere ed a battere il nostro record.
Iniziavamo lanciando la palla e dicendo: "uno" e si continuava a contare ad alta voce fino a che la palla non carambolava a terra, persa, ed allora si azzerava il conto e si ripartiva.
A volte abbiamo fatto tre soli scambi, altre volte neanche uno, altre ancora abbiamo tenuto duro fino a trenta saltando e correndo, recuperando e respirando forte.
E' capitato che tu tirassi troppo in alto, io troppo lontano, tu senza forza sufficiente, io con esagerata energia.
E' avvenuto che tu mi facessi correre ai lati, che io ti costringessi a piegare le ginocchia, che ci dovessimo tuffare completamente in acqua o nella sabbia.
E' successo che ad uno di noi non andasse di correre troppo e fosse rimasto lì fermo a guardare la palla cadere a terra, stanco ed annoiato, c'è stato il momento in cui io ero pronta e tu invece avevi il sole in faccia, io un granello di sabbia negli occhi, i capelli troppo sudati, la schiena incordata.
Ci siamo inchinati ancora ed abbiamo continuato a gridare: "uno" all'ennesimo tentativo di raggiungere un'armonia, uno scambio decente, un numero sufficiente di palle salvate e rinviate all'altro.
Il nostro record e la nostra partita, erano nelle mani di entrambi, la medesima responsabilità, una colpa spesso sbilanciata ma in fondo la stessa colpa, l'identico tentativo di trovare un equilibrio seppure fragilissimo.
Ci siamo rimpallati la stanchezza, l'energia, la sfida, la competizione, ogni tanto ci siamo fatti male, un passo falso, una distorsione di caviglia, un vetro tagliente nascosto sotto alla sabbia, un ramo sul quale inciampare, poi una risata di complicità, un chiedersi scusa per un tiro senza senso.
A volte il sole, la fame ed il sudore erano così fastidiosi che il puntiglio di battere il nostro stesso record diventava esso stesso odioso e quasi ridicolo, ma abbiamo ripreso di nuovo da quell'uno gridato, siamo stati testardi, risoluti, quasi disperati.
E' successo che tu ti sia preso la colpa del fallimento di uno scambio, che io ti abbia ritenuto responsabile assoluto, che tu mi abbia criticato ed urlato: "muoviti, sei troppo lenta, sei pigra, non ti sforzi", è capitato che la racchetta ci sia sembrata sbagliata, la palla troppo piccola, l'impugnatura troppo dura.
Ci è venuta voglia di buttare quei racchettoni colorati, di comprarne altri, o di giocare un gioco diverso.
A volte la palla ci è arrivata vicina, sarebbe stato semplice salvarla con poco sforzo ma non ci abbiamo creduto abbastanza.
Alla fine, l'ultimo giorno di vacanza, non abbiamo mollato finchè non abbiamo tenuto, ribattuto, salvato, ben 36 palle.
Ci siamo buttati uno addosso all'altro nella sabbia abbracciandoci sudati e ruvidi di sabbia, ed un po' ci è venuto da ridere ed un po' ci è venuto da piangere.

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