Dai tempi di Metamatic, nell’ormai lontano 1980, John Foxx è stato considerato unanimemente come uno dei maggiori punti di riferimento nella storia del pop elettronico.
Quel disco fu uno dei primi che furono composti e realizzati usando totalmente il sintetizzatore e risulta tuttora come uno dei capolavori più completi nonchè come uno dei precursori del musica elettronica a venire, al fianco, per esempio di Replicas e The Pleasure Principle di Gary Numan.
La carriera di Foxx, dagli esordi post-punk con gli straordinari primi tre album degli Ultravox!, si è sempre evoluta e ha fatto della ricerca la sua forza, passando attraverso l’ambient, electroclash, dance e il dream-pop, trovando quasi spesso risultati di grande valore.
Durante quattro decenni di lavori, inoltre, si è pure distinto per aver stretto collaborazioni sempre proficue, dal musicista elettronico Louis Gordon col quale ha co-firmato ben cinque dischi, al compositore ambient Harold Budd, al chitarrista icona del dream-pop ed ex Cocteau Twins, Robin Guthrie sino a Steve Jansen e Steve D’Agostino coi quali ha realizzato l’ultimo A Secret Life.
L’ultima collaborazione che vede protagonista Foxx è fra le più curiose, come curioso è il personaggio che accompagna questa sua nuova avventura. Il suo nome è Benge, alias Ben Edwards, ed è un musicista elettronico inglese che ha la strana abitudine di nominare i suoi pezzi come gli strumenti che utilizza, tutti generi di sintetizzatori che sono usciti dagli anni 60 in poi, e dei quali Benge è assiduo collezionista.
Molto stimato da Brian Eno, che ha fortemente lodato il suo ultimo lavoro (Twenty Systems, 2008), Benge si mette a capo di un collettivo di musicisti che definisce The Maths e realizza con Foxx, Interplay, uscito il 21 marzo a nome di John Foxx & The Maths, per l’etichetta Metamatic.
Il disco si caratterizza per una sorta di spirito duale che lo attraversa, dove da un lato spiccano le tipiche dinamiche foxxiane in un misto di armonia melodica e aggressività elettronica e dall’altro vengono fuori le stranezze del suo curioso compagno che, lasciati i panni di compositore ambiente, si getta a capofitto sulla sua passione di collezionista vintage, facendo sfoggio di sonorità demodé.
Il risultato di questo insolito connubio è comunque notevole e le aspettative degli appassionati non verranno deluse. Certo chi cercherà innovazioni dovrà recarsi altrove, ma c’è da dire altresì che la ricerca di innovazione è spesso una scusa sterile per snobbare validi lavori come questo o altri ancora.
Il pezzo d’apertura, Shatterplay, è sorprendemente veloce e oscuro, tale da poter ingannare gli sviluppi successivi del lavoro. Un brano comunque potente e vigoroso, probabilmente più figlio di Benge che di Foxx.
L’ammiccante e ironica Catwalk ribalta totalmente l’atmosfera, restituendone un insospettabile ritmo danzereccio. Evergreen possiede invece le classiche caratteristiche dei brani del Foxx elettronico degli ultimi anni (in particolare del periodo con Gordon): veloce, stimolante, ritmato e abbellito dai pirotecnici strumenti di Benge.
Mira Aroyo dei Ladytron è l’ospite e co-autrice di Watching A Building On Fire, una canzone che come le precedenti recita lo stesso spartito un po’ vintage e un po’ neo-foxxiano, con la diversa leggerezza e soavità che le conferisce la guest star.
La title-track s’impone per contrasto con un ritmo cadenzato e riflessivo, mentre sonorità house traspaiono da Summerland.
Uno dei pezzi più riusciti dell’album è senza ombra di dubbio è The Running Man, nel quale sin dal titolo si riconosce il riferimento all’alter ego foxxiano, quel Quiet Man al quale l’artista inglese ha pure dedicato un libro. Il brano, col suo ritmo travolgente e senza pausa, è una sorta di versione elettronica e modernizzata del suo classico dai tempi degli Ultravox, Quiet Men.
A Falling Star è una densa elettro-ballata che porta il marchio inconfondibile dello spirito di Foxx e dove si nota meno la presenza del nerd Benge, al contrario della successiva Destination nella quale è facile riconoscere le influenze cupe del sound di Sheffield, fra Cabaret Voltaire e Clock Dva, un brano sicuramente potente e convincente.
La conclusiva The Good Shadow è incantevole per le atmosfere liquide e delicate ed è probabilmente il risultato fra i più convincenti dell’intera operazione che vede Benge e i suoi matematici a confronto dell’icona, il metamatico Foxx che è partito dal passato per rincorrere il futuro, al contrario del suo collaboratore che è nel passato che ha ricercato il futuro.