“il miele amaro”

Creato il 06 maggio 2014 da Viadellebelledonne

Nell’universo poetico di Anna Maria Bonfiglio non c’è raccolta di versi più intima, più intensamente dono d’anima di questa ultima titolata “Il miele amaro”. Quel flusso temporale che Bufalino chiamò “la maledizione di Eraclito”, lo scandaglio interiore che s’inabissa entro l’ipogeo più intimo e oscuro del sé, sono i cardini del dettato. E’ tutto qui. Ma è qui che l’infinità temporale di un vissuto, di un Esserci, si sdipana in versi fortemente connotativi; talvolta teneramente malinconici o dolorosamente drammatici, qualche volta rarefatti o ossimoricamente densi, ma sempre pregnanti, sempre pienamente riflessivi. Nei versi della poesia che dà titolo al volume, “Il miele amaro”, è il giorno a “portare il sapore” del tempo transeunte; in “Di tanto vivere” è del vissuto l’identico gesto del “portare” alle labbra il miele amaro,

sostanzialmente connubio degli opposti, rimescolando tormento e letizia e tutti i misteri dell’esistere. Così, in “Sugheri”, il poeta può affermare che “… il tempo vecchio affonda negli abissi/ col peso di remote fantasie”. Così, in “Sono andati via tutti”, il poeta insiste nello scavo interiore, “a fondo nella terra” per ritrovare il proprio diamante personale, frutto di quell’Ombra che si fa scaturigine della Luce, frutto di risposte e consapevolezza. Come non soffermarsi sui versi estremamente belli di “Di questo sud”: la durezza del dettato sembra liquefarsi attraverso le parole immaginifiche intrise della dignità alta di uomini e donne del sud; il poeta sa come rendere manifesta l’emozione con la sostanza delle parole, con tutti i segni degli intrinsechi turbamenti: “…Siamo rimasti qui, dove i carrubi/ nascondono fantasmi”. Come un rabdomante, giorno dopo giorno, il poeta ancora e sempre cerca, forgia, reinventa, porta quanto rinvenuto alla superficie e scrive. Leggiamo: “Ho sulle labbra/ ancora una canzone/ e una colomba calda/ fra le mie mani”. In questo modo, Anna Maria Bonfiglio canta: è come se, da terra, guardasse il mare. Invero, il poeta non vede il mare ma l’infinito che aleggia a pelo d’anima nell’esistere del Tutto.

Ester Monachino



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