Tuttavia questo è un effetto indesiderato soltanto per l’inattesa rapidità con cui si sta producendo la deindustrializzazione e l’impoverimento nella periferia dell’Europa e in maniera ancor più accentuata in Italia, perché rischia di creare una bomba sociale in grado di travolgere anche le cucine politiche del capitalismo. In realtà la disoccupazione “controllata” è un effetto voluto per aumentare il ricatto sul lavoro, disarticolare i sindacati e la capacità di resistenza, isolare le persone dentro una battaglia individuale e dunque far cadere salari e retribuzioni in vista di una fantomatica competitività. Su questo termine fumoso, ci sarebbe molto da dire, ma in questo contesto ci si può limitare a notare che essa è ormai solo in rapporto con il profitto immediato, avendo perso i legami con innovazione, progetto, qualità, immagine che sono paradossalmente gli archetipi del mercato.
L’obiettivo finale non è diverso da quello di certe aziende in ristrutturazione, anche se ovviamente più complesso: licenziare per riassumere poi a un salario molto inferiore e con diritti ridotti al minimo. E se qualcuno avesse dei dubbi le recentissime vicende del Portogallo e della Grecia lo dimostrano in maniera inequivocabile. Ad Atene (come riferito qui) si sono precipitate alcune multinazionali a chiedere di poter assumere sotto i minimi salariali, già abbondantemente tagliati, prefigurando i 250 euro al mese, una proposta che ha messo in grave imbarazzo persino il destrissimo governo greco. Però questo tentativo privato è divenuta dottrina ufficiale della troika, dunque anche della Bce e di Bruxelles, che ha chiesto a Lisbona (altrove probabilmente per evitare spiacevoli quanto ovvi collegamenti) di eliminare i i minimi retributivi. Una sorta di vendetta preventiva contro l’attesa sentenza della Corte costituzionale portoghese che venerdì scorso ha bocciato i massicci tagli ai salari voluti dal pensatoio dell’austerità.
E anzi oggi la commissione Ue fa la voce grossa, dicendo che il mancato “risparmio” di un miliardo e 300 milioni di euro dovuto alle decisioni della Corte, dovrà comunque essere recuperato con altri mezzi. Una cosa diventa sempre più chiara: chi si aspetta una qualche salvezza da questa Europa o è un illuso, oppure soffre di una pericolosa sindrome di Stoccolma: nessuno potrebbe aspettarsi un qualche reale sollievo da chi ha proprio il disastro del lavoro come obiettivo, anche se facendo male e ottusamente i calcoli ha sbagliato i tempi e rischia di trovarsi dinamite invece di rassegnazione. Del resto la Fondazione Friedrich Ebert, un centro studi vicino ai socialdemocratici tedeschi, dopo una serie di analisi e conferenze tenute in tutto il continente ha elaborato quattro possibili prospettive sul futuro dell’Europa e della sua moneta.
La prima è quello del “tirare a campare” senza cambiare nulla, accontentandosi di piccoli e inutili pacchetti di aiuto. Ciò porterà a maggiore disoccupazione e a sollevazioni nei Paesi della periferia, a una sempre maggiore immigrazione verso il centro, alla marginalizzazione dell’Europa nel contesto mondiale e infine alla dissoluzione dell’euro presumibilmente proprio per l’uscita dei paesi forti.
La seconda è quella di arrivare a una completa ‘unione fiscale con tutte le competenze trasferite a Bruxelles, una graduale integrazione politica fra Paesi e una redistribuzione di perdite e ricavi. Sarebbe l’ideale, anche perché darebbe all’Europa e alla sua moneta una dimensione realmente mondiale. Ma si tratta anche – avverte la Fondazione – di una ipotesi del tutto irrealistica poiché mancano tutti i presupposti per arrivare a un simile approdo. Viene dunque citata come qualcosa che ha la stessa probabilità del miracolo e la consistenza dei sogni.
La terza prospettiva riguarda invece la possibilità della formazione di un nucleo europeo forte deciso a portare avanti l’unione fiscale, escludendo gli altri e avendo la tentazione di imporre condizioni rispondenti ai propri interessi. Non esisterebbe più un ‘Europa propriamente detta, ma una zona di libero scambio con figli prediletti e figliastri sempre sull’orlo del disastro.
L’ultima ipotesi prevede la dissoluzione dell’area euro con i Paesi della periferia che tornano alle loro monete nazionali. Gli esiti di tutto questo deriverebbero dai modi e dai tempi con cui si arriverà a questo sbocco: potrebbe essere pacifico e razionale, ma non si può nemmeno escludere che si arrivi anche a uno stato di conflittualità.
Insomma escludendo la soluzione ideale che per aperta ammissione è di fatto irrealizzabile, almeno non nei tempi che sarebbero utili, tutte le altre ipotesi prevedono una profonda trasformazione senza escludere che essa possa avere risvolti drammatici. E di certo il comportamento cieco e aggressivo della Ue, il suo scomposto liberismo contro fattuale, la volontà quasi sadica di infliggere massacri sociali, mai contestati da governi che ha fortemente contribuito con l’illusionismo a insediare, non fanno presagire nulla di buono.
Mi chiedo come la politica che vediamo dispiegarsi in questi mesi in Italia possa essere all’altezza di queste sfide e delle relative scelte: tutto sembra orientato alla bassezza dei possibili esodi, con l’aggravante di averli messi sotto il tappeto.