La questione è altamente spinosa perché riguarda molti immobili religiosi ad uso commerciale in cui alle volte si svolge anche attività no-profit.
Il ministero dell’Economia ha recepito le osservazioni del Consiglio di Stato compiendo un dietrofront rispetto al precedente testo in cui si stabiliva che le attività senza fine di lucro, che permettono l’esenzione Imu, potessero essere svolta in via diretta o indiretta. Nell’attuale testo invece si esplicita all’articolo 3 che sono considerate attività non commerciali quelle in cui da statuto vi è «il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori».
Qualora un’attività no profit dovesse ottenere dei guadagni vi è «l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale».
In questo modo sono tutelate quelle attività in cui si svolge una mera attività assistenziale (dormitori, mense Caritas, etc.).
Sono esentate dal pagamento dell’Imu anche quelle attività sanitarie «accreditate e contrattualizzate o convenzionate con lo Stato, le Regioni e gli enti locali» che «in maniera complementare o integrativa rispetto al servizio pubblico, prestano a favore dell’utenza, alle condizioni previste dal diritto dell’Unione europea e nazionale, servizi sanitari e assistenziali gratuiti, salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento per la copertura del servizio universale».
Un punto più dubbio riguarda le attività sanitarie non convenzionate con lo Stato o gli enti locali che sono considerate “non commerciali” solo qualora siano «svolte a titolo gratuito ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico»: infatti difficile definire cosa si intenda per “importo simbolico”. In ogni caso il decreto stabilisce che il pagamento non può essere «superiore alla metà dei corrispettivi medi previsti per analoghe attività svolte con modalità concorrenziali nello stesso ambito territoriale».
Più nebulosa la parte relativa alle scuole private che sono considerate “non commerciali” se «l’attività è paritaria rispetto a quella statale e la scuola adotta un regolamento che garantisce la non discriminazione in fase di accettazione degli alunni». Infatti è facile che la scuola privata possa adottare formalmente un simile regolamento mentre bisognerebbe considerare se poi tali disposizioni siano effettivamente applicate.
Nel decreto si stabilisce sempre per le scuole private che debbano essere «osservati gli obblighi di accoglienza di alunni portatori di handicap, di applicazione della contrattazione collettiva al personale docente e non docente, di adeguatezza delle strutture agli standard previsti». Se questa parte dovesse essere applicate molte scuole private potrebbero perdere lo status di “non commerciale” (e quindi esentate dall’Imu) considerato che secondo Istat nelle scuole non statali sono diffusi i contratti irregolari mentre il ministero dell’Istruzione ha rilevato che le strutture delle scuole private sono di gran lunga inferiori rispetto agli standard della scuola pubblica.
Per ultimo una scuola è considerata “non commerciale” se «l’attività è svolta a titolo gratuito, ovvero dietro versamento di corrispettivi di importo simbolico e tali da coprire solamente una frazione del costo effettivo del servizio». Il decreto non stabilisce in questo caso cosa si intenda per “importo simbolico” e quale frazione massima del servizio svolto possa coprire il pagamento della retta.
La parte più importante del decreto è relativa a quegli immobili ad utilizzazione mista (commerciale e no-profit).
La proporzione dell’immobile esentata dal pagamento dell’Imu viene determinata non solo in riferimento allo spazio (se definibile) ma anche al numero dei soggetti nei confronti dei quali vengono svolte le attività ed ai periodi dell’anno in cui si svolge l’attività commerciale.
Bisognerà considerare se questi punti siano in linea con i principi comunitari in modo da evitare la procedura d’infrazione nei confronti del nostro Paese aperta dall’Ue.