Si, perché l’antico principio secondo cui l’acquisizione del sapere era inscindibile dalla formazione personale dello spirito (Bildung), è oggi più desueto che mai. Oggi infatti, i bravi formatori di prof(l)essione ci tengono ad informare le matricole, che il sapere, al pari di qualsiasi merce, per dirla con Lyotard: “viene prodotto per essere venduto, e viene consumato per essere valorizzato in un nuovo tipo di produzione: in entrambi i casi per essere scambiato”. Tuttavia, il Ministro del lavoro non ha, oggettivamente, tutti i torti. Tenta goffamente di dare buoni consigli, testimoniando per giunta col proprio esempio la bontà di quei suggerimenti. Stando alle dichiarazioni di Poletti, il sapere, infatti, deve possedere primariamente un “valore d’uso”, altrimenti non è un “buon sapere”. Deve essere spendibile, utile ad ingrassare il funzionamento del sistema di produzione globale che valorizza ogni cosa in proporzione al proprio stesso meccanismo. E’, in fondo, lo stesso principio caro al positivismo utilitarista di stampo anglosassone, secondo cui è buono, giusto e morale, tutto ciò che possiede un’utilità, non importa se societaria prima e industriale poi. Eppure i valori, nel corso dell’ondivaga esistenza umana, non si sono sempre piegati ai precetti utilitaristici che hanno vinto oggi la partita morale.
Gli studenti francesi dell’epoca non erano invitati a “sbrigarsi per il loro bene”, bensì ad imparare: il percorso di tirocinio, di studio negli archivi di mezzo mondo, per gli storici, durava una vita intera. Essi infatti “sapevano” che per imparare serve anzitutto tempo, passione verso ciò che si fa, senza considerare il tempo di studio come uno sgradevole passaggio verso la via della beatificazione lavorativa a fine di lucro, bensì un momento privilegiato, indispensabile per la propria formazione umana, da assaporare lentamente ed intensamente, non come una gara podistica o un coitus interruptus strumentale al piacere sterilizzato dell’uomo a una dimensione marcusiano. Un Ministro che sembra promuovere l’ignoranza attiva, le cose fatte male e sbrigativamente, “tanto per fare”, e la morale del risultato, dovrebbe essere rimosso immediatamente dalla sua carica… se solo il sapere e la cultura fossero davvero cose “serie”, riconosciuta e stimate dalla collettività per la loro utilità “umana”, eudemonica, e incommensurabile.