Oggi che ho 36 anni e 2 figli, non riesco a capire la freddezza dei miei.
Se penso al periodo dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945, io non riesco a non immedesimarmi. Mi immedesimo nella famiglia di mio nonno, che periodicamente subiva perquisizioni perché si sospettava (a ragione) che mio nonno e i suoi fratelli rubassero la seta di certe attrezzature militari per rivenderla al mercato nero. Ma mi immedesimo anche in una qualsiasi famiglia di campagna. Stai facendo colazione, preparandoti per una giornata di duro lavoro, o sei a cena, finalmente a riposo, e ti irrompono in casa dei militari che cercano un ebreo, un partigiano o un inglese. E magari tu, per carità umana, quell'ebreo/partigiano/inglese lo stai davvero nascondendo.
Non riesco a non immaginare la paura, mia e dei miei bambini. Non riesco invece a immaginare pienamente l'orrore di quella violenza cieca e indiscriminata, sia fisica sia psicologica.
Se penso che ad un certo punto tutto questo è finito per milioni di persone, non riesco a trattenere lacrime di gioia. E rabbia per quello che è stato.
Dicono che il 25 aprile è una festa obsoleta. Forse lo è, dopo 70 anni. Ma non lo è nella misura in cui ci ricorda che viviamo liberi: liberi dalla violenza e dalla paura. Questo non lo trovo obsoleto.
Se proprio proprio volessimo "svecchiare" il 25 aprile, un modo ci sarebbe. Ieri parlavo ai miei bambini e ai loro amici egiziani del significato del 25 aprile e, mentre parlavo, pensavo che ci sono popoli e persone che un 25 aprile non ce l'hanno. Ci sono persone che nel loro Paese subiscono le stesse violenze vissute dai nostri nonni, e cercano di fuggire, di salvarsi. Attraversano mari e deserti, rischiano la vita per arrivare da noi, che viviamo in pace. Non sono diversi dagli ebrei che fuggivano in America o in Inghilterra.
Eppure noi li trattiamo come parassiti, come pesi morti.
Ecco, se volessimo rendere più attuale il 25 aprile, la via potrebbe essere questa: renderla una festa della pace e della conciliazione internazionale, un momento di consapevolezza non solo su quella guerra che sembra tanto lontana (ma non lo è) ma anche sulle guerre che sono ancora in corso, e che vengono combattute come sempre sulla pelle della povera gente.