A Sydney i bus hanno i sedili pieni di scritte e graffiti. Ma non e’ opera di vandali: hanno fatto i sedili cosi di proposito, sembrano tanti quadri astratti. Evidentemente qualche psicologo illuminato ha pensato che ai vandali potrebbe passare la voglia di scriverci sopra, se gia’ li trovano pieni di scritte. E se magari ci scrivono sopra, probabilmente non si nota neanche. L’effetto non e’ neanche male a dire il vero.
A Sydney in bus non si riesce a stare seduti in due sullo stesso sedile. Non si capisce se li hanno fatti piccoli apposta, o se e’ perche’ qui la gente e’ grossa. Se sei seduto nella parte esterna stai di sicuro con una gamba fuori, e arrivi a destinazione costellato di crampi.
Da casa mia sono ben cinque le linee cinque che posso prendere per andare al lavoro. Peccato che ogni linea passa una volta all’ora, di media, per cui facendo il conto ho un bus teorico ogni dieci minuti o poco piu’.
A Sydney i bus non solo arrivano in ritardo: spesso, anzi la maggior parte delle volte, arrivano in anticipo. Non si capisce come mai. L’altro giorno mi sono presentato alla fermata del bus alle 8:04. A cento metri dalla fermata sono arrivati contemporaneamente il bus delle 7:56, quello delle 8:07 e quello delle 8:21. E io li ho persi tutti e tre, perche’ mentre uno caricava gli altri passavano dritti. Dopo quei tre, ho dovuto aspettare mezz’ora per il primo mezzo utile.
A Sydney quando un bus e’ pieno (posti a sedere occupati e corridoio mediamente affollato), allora il bus inizia a saltare le fermate. Spesso la mattina devo stare fermo un giro perche’ l’autobus e’ pieno (e quello dopo logicamente e’ vuoto). Ripensandoci pero’ mi mancano gli autobus-sardina giapponesi, in cui non serviva appoggiarsi alle maniglie perche’ si era tutti stipati tipo gommone di profughi. Aveva il suo fascino (soprattutto quando stavi tutto il viaggio a contatto col culo di una giappina. Un po’ meno quando dovevi passarlo ad annusare le ascelle di un salaryman).
Pensando al concetto di autobus, mi riaffiora un ricordo di anni fa, quando ho letto “Lo stupidario della maturità”. Un tipo di Taranto aveva scritto una frase tipo questa nel suo tema: “sono andato a prendere l’autobu alla stazione degli autobi”. La cosa fa ridere se si pensa alla frase, mentre fa un po’ meno ridere se si pensa a come un caprone del genere sia riuscito ad essere ammesso alla maturita’. Se ci pensate, questo prevede che abbia concluso con successo cinque anni di elementari, tre di medie, cinque (dico, cinque) anni di superiori, e che sia stato ammesso alla maturita’ stessa. E poi dicono dell’istruzione al sud.
Stamattina in bus e’ salita una mamma con il figlioletto. Il figlio era praticamente la versione gemellare in miniatura della madre. Mai vista una cosa del genere. Ora i casi sono tre: o si e’ riprodotta asessuatamente per mitosi, o la tipa ha un gemello e ha avuto il figlio da lui, oppure e’ l’unica persona al mondo ad avere tutti i geni dominanti e ad aver sposato contemporaneamente l’unico uomo al mondo che ha tutti i geni recessivi. Se fossi il marito le direi “scusa se esisto” e chiederei il divorzio a causa del suo egoismo genetico.
Davanti alla mamma era seduta una talmente cessa, ma talmente cessa, che non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Sembrava uno di quei travestiti che vedi subito che sono travestiti: solo che questa era una donna vera. Aveva perfino gli occhiali da vista con sopra gli occhiali da sole. Una cosa inguardabile. Passava il tempo a mettersi il rossetto, e tirava le labbra in pose assolutamente goffe. Uno fratto femminilita’ proprio. A guardarla mi sono venute in mente le giappine che si truccavano in treno, e riuscivano a mettersi il rimmel senza battere ciglio tra casino e sballottamenti e frenate varie, pur col loro tacco quindici d’ordinanza ai piedi, lo specchietto in mano e la Louis Vuitton appesa al gomito. Ma quelle sono di un altro pianeta, e sarebbero riuscite a truccarsi con grazia e una femminilita’ immutate anche a bordo di un tagadà in una sagra di paese. Altra stoffa, altra categoria: altro che le donne dei bus di Sydney, pfui.