“Che cosa hai fatto Doro? Che cosa hai fatto…? C’era qualcuno. Un intruso, qui, nella mia stanza. Ne ho sentito la presenza prima ancora di aprire gli occhi. Fredda. Oscura. Malvagia”. Cit.
Nessuno ne è immune. “Il mio cuore cattivo”, edito da Corbaccio nell’ottobre 2013, ruota attorno ad una massima cinese che l’autore riporta all’inizio del libro: “Il male non vive nel mondo delle cose. Vive unicamente nell’uomo”. Ed è per questo, che l’opera si rivela tanto inquietante, ma anche adrenalinica e coinvolgente, uno di quei romanzi che si iniziano a leggere e non si vorrebbero lasciare più.
Le 344 pagine scorrono veloci, come se stessimo guardando un film e ci tengono inchiodati alla scena, desiderosi di saperne di più. Di arrivare alla fine, alla soluzione del mistero. La protagonista è Dorothea, una ragazza di 16 anni che nella sua giovane vita ha già molto sofferto e deve fare i conti con i fantasmi del passato.
Doro (come ama essere chiamata) non ricorda nulla di quello che è avvenuto circa un anno prima, la notte della morte del fratellino Kai, al quale doveva fare da baby sitter, mentre i genitori erano a teatro. Sa solo che quella sera voleva uscire con gli amici per partecipare ad una festa dove c’era il ragazzo che le piaceva, ma non c’è stato niente da fare.
I genitori l’hanno relegata ad un compito che le affidavano spesso, quello di badare al fratello piccolo, e quell’impiastro continuava a piangere e a gridare dal suo lettino che voleva la mamma, quasi fosse posseduto. Una telefonata l’aveva sconvolta e poi l’amnesia si era impossessata di lei.
Dopo la separazione dei genitori, la ragazza si trasferisce con la madre in una nuova città e in una nuova casa. E purtroppo ricomincia a sentire quelle voci e ad avere quelle visioni che pensava di essersi lasciata alle spalle. Finché una notte, durante un temporale, Doro vede un ragazzo che si è rifugiato nel capanno degli attrezzi, in fondo al giardino.
È terrorizzato, sta fuggendo da qualcosa o qualcuno che lui chiama “demonio” e le chiede aiuto. Ma mentre la ragazza corre a chiamare i soccorsi, sparisce nel nulla, senza lasciare traccia, mettendo Doro la “pazza” nelle grane per avere procurato un falso allarme alle forze dell’ordine. La ragazza è certa che non si sia trattato di un’allucinazione e inizia ad indagare, facendo la macabra scoperta che il giovane si è suicidato il giorno prima del loro incontro.
La storia è narrata da Doro in prima persona, quindi l’autore non ha dovuto solo immedesimarsi in un adolescente, ma anche nell’universo femminile. Ed in questo è credibilissimo. A voler essere del tutto sinceri, la storia di una famiglia che si trasferisce in una nuova casa dove inizia a vedere dei fantasmi, non è proprio un’idea originale. E spesso vi è un adolescente con un fratellino o una sorellina più piccoli, per permettere di avere diversi punti di vista della vicenda.
Qui però i personaggi sono talmente credibili, che la trama risulta peculiare. Merito di avere fatto della psichiatria la scienza fulcro, attorno alla quale la storia prende forma, attraverso un’analisi approfondita dei personaggi dal punto di vista della loro psiche. Singolare è il fatto che Doro sia “sinestetica”, cioè che per lei le persone “abbiano un colore”.
Chi è “affetto” da sinestesia è molto percettivo, ed è considerato una sorta di sensitivo. I sinestetici infatti fondono in un’unica sfera sensoriale le percezioni dei sensi distinti. La chiave di tutto sta nel non voler vedere, nel non volere ricordare. Glielo dice anche il suo psichiatra, il dottor Nord, e anche la sua parte oscura, il suo cuore cattivo. “Che cosa hai fatto Doro?”, continua a chiederle una voce. E ricordare, per quanto faccia paura, diventa l’unica soluzione possibile, in un mondo dove ognuno possiede una parte inconfessabile e nessuno è come sembra.
Written by Cristina Biolcati