Molti lettori e amici mi hanno chiesto che tipo di rito è stato il mio matrimonio hawaiano.
E’ stata una celebrazione sacrale dell’UNO: unione tra noi esseri umani e la Natura a cui Kalani Souza, l’uomo/maestro della tradizione Kahuna che ci ha sposati, ha chiesto rispettosamente il permesso; unione tra due cuori e due energie, la mia e quella di Giancarlo; unione tra noi due sposi e la gioia degli amici che hanno partecipato personalmente o a distanza; unione tra noi e il cibo di cui quella stessa Natura è stata testimone, sin dalla sua preparazione.Per descrivervi quello che ho vissuto con Giancarlo, nel nostro matrimonio hawaiano, preferisco parlarne usando il tempo presente perché non è e non voglio che diventi solo un ricordo della mente, ma che rimanga un’esperienza di connessione profonda e reale che cambia ogni giorno il mio quotidiano …Comincio con ordine:Kalani prepara il luogo in cui alle 12:23 esatte (momento in cui quel giorno l’energia del Sole e della luce è al suo picco massimo) celebrerà il matrimonio. Pone un tappeto di bambù sotto tre alberi, tre grandi tronchi della felicità, su cui celebreremo il nostro rituale.Lo seguiamo in riva al mare, in questo luogo sacro scelto da lui, frequentato dagli hawaiani e che pochi turisti conoscono. Un luogo in cui si incontrano l’energia del fiume che scende da uno dei tre grandi vulcani di Hawai’i e l’oceano. Ci racconta la leggenda dell’uscita dall’acqua delle prime forme vitali e poi via via fino all’essere umano …Ci benedice con l’acqua dell’oceano, ci scambiamo le collane di fiori (Lei), simbolo di connessione con l’Alo-ha, ossia condivisione (alo) gioiosa (oha) dell'energia vitale (ha), amorevole e compassionevole, nel presente (alo).Ci invita a seguirlo fino al tappeto, posto sotto gli alberi, e camminando prepara per noi il percorso sacro e protetto della nostra unione.Lì, prima Elizabeth Jenkins ci guida a creare un uovo di luce nel modo andino, poi Kalani ci avvolge in un telo bianco. Recita le sue invocazioni in lingua hawaiana, canta una preghiera suonando l’ukulele (piccola chitarra tipica hawaiana), ci fa scambiare gli anelli ricordandoci che nell’antica Roma l’anello (la cosiddetta “fede”) veniva usata dagli schiavi come segno di riconoscimento del padrone di appartenenza, e che poi è diventato costume delle mogli per indicare il “possesso” del marito, e che usarli nella tradizione Hawaiana (dove é inconcepibile la sola idea di "possedere" un essere vivente o men che menoun partner) ovviamentenon ha questo senso! Ci ricorda anche che, prima che si insinuasse il senso di vergogna e del falso pudore, i matrimoni hawaiani prevedevano anche che la coppia facesse l’amore sullo stesso tappeto in cui poco prima era stato celebrato il matrimonio, mentre parenti e amici festeggiavano intorno.
Passato e presente si uniscono, col senso di un cammino che ci spinge oltre, un po’ più in là, nell’arco della Vita!
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