E’ da un po’ come segue ed oggi le ho dato un nome: il post per Chilopesa!
E così, vergognosamente in ritardo, tiriamo le somme di un mese di chilopesa, anno del signore 2010, mese di marzo.
E meno male che conoscendo la mia memoria da pesce rosso ho sempre appresso un’agenda, che il 31 marzo riassume:
Umido: 6kg
Carta: 4.70kg
Plastica: 3.8kg
Vetro: 5.7 kg
Secco: 3kg
Pensavo peggio, ma ci sono diverse cose che mi hanno dato da riflettere.
L’umido oltre alle classiche bucce, torsoli è scarti, è composto soprattutto da una cosa: errori di valutazione.
Ci siamo fatti prendere di quando in quando dal demone del “facciamo la scorta settimanale e non ci pensiamo più” che per le scatolette va pure bene, ma con la frutta e verdura mal si concilia.
Bastano un paio di uscite in più, di pranzi fatti seguendo l’ispirazione del momento senza guardare in frigo e l’insalata appassisce insalutata ospite, la zucchina si copre di muffe e le melanzane si lasciano morire.
Piccoli rimedi: il posto dove prendiamo frutta e verdura è a poche centinaia di metri in bicicletta. La verdura si può comprare in quantità più ridotte, ma più spesso. Che è anche una buona scusa per fare un giretto in bici.
L’ispirazione del momento invece andrebbe assecondata dopo aver occhieggiato in frigo per controllare le cibarie da smaltire.
Lo so, sto scoprendo l’acqua calda, ma a volte riscoprire l’ovvio può avere il suo perché.
I chili della carta oltre a packaging e confezioni varie sono soprattutto centinaia di flyer e volantini pubblicitari dei supermercati locali, che si premurano di farci sapere con una certa frequenza le loro ultime offerte. Se per le mail posso si può fare l’opt-out per le comunicazioni pubblicitarie, nel caso di quelle cartacee come fare?
La plastica è esclusivamente packaging. Bottiglie, pacchetti, sacchetti, bustine…
Per quello che riguarda l’acqua beviamo prevalmentemente quella del rubinetto filtrata con la brocca a carboni attivi – tipo la Brita, tanto per intenderci – ma le bevande gassate producono un sacco di monnezza. E qui è sulle abitudini che c’è da riflettere.
In tutti gli altri casi cerchiamo di scegliere prodotti con la minor quantità possibile di packaging inutile. C’è un caso che però mi ha colpito ed è la frutta e verdura di cui sopra.
Ogni singolo prodotto deve andare in cassa avvolto nel suo sacchettino di cellophane trasparente munito di codice a barre.
Una mela, un sacchetto.
Due zucchine, un sacchetto.
Finché sono frutti muniti buccia protettiva come meloni o angurie è facile, il codice si attacca direttamente al frutto; nel caso di mele, pesche, pere etc la quantità di sacchettini trasparenti che finiscono nella monnezza dopo ogni spesa è impressionante. Oltretutto sono di una plastica così sottile che una volta muniti di codice a barre ogni tentativo di rimuoverlo e riciclare il sacchetto la lacera inevitabilmente. Ed al mercato non va meglio: anche munendosi di sporta di stoffa, si finisce per tornare a casa con decine di sacchetti di carta, buste di plastica, contenitori. Soluzioni?
Rimane il vetro, che ogni singola volta che sono andata a gettarlo nell’apposita campana mi ha portato a pensare quanto sarebbe più sensato il vuoto a rendere.
E il secco. E’ impressionante la quantità di materiali non riciclabili che vengono usati per le confezioni usa e getta. Una su tutti: il polistirolo.
Insomma, questo è stato il mio mese di marzo, visto dal lato del cassonetto dei rifiuti. Anche avendo già un minimo di abitudine a fare attenzione, a differenziare, a cercare di scegliere mettendo sul piatto etica, risparmio, ambiente, provare a fare un’esperimento del genere è una cosa che fa riflettere davvero a fondo sulle proprie abitudini, anche le più banali. Dopo aver passato anche solo 30 giorni a mettere su una bilancia il proprio rusco, è impressionante quanto cambia il modo in cui guardi alle cose prima di acquistarle.