Il mio nome è Nessuno: il giuramento - Valerio Massimo Manfredi

Creato il 23 maggio 2014 da Isabelje60754 @IsabelJE60754


Valerio Massimo Manfredi, scrittore e studioso di archeologia, è stato docente in eccellenti università italiane e straniere, dirigendo esplorazioni ed asportazioni di terreno per riportare alla luce monumenti od oggetti in diverse località bagnate dal mar mediterraneo, dando alle stampe parecchi scritti e studi su argomenti specifici. È divenuto famoso a livello planetario con un gruppo di tre opere strettamente connesse tra di loro dal titolo «Alèxandros», tradotte in ben trentanove idiomi, alle quali hanno fatto seguito diversi ulteriori romanzi che hanno incontrato il favore del pubblico.
«Il mio nome è Nessuno: il giuramento» (pubblicato nel mese di ottobre del 2012) è il primo libro della serie dedicata a Ulisse, proseguita nel 2013 con «Il mio nome è Nessuno: il ritorno» e che nel 2014 ha appena visto l'uscita di «Il mio nome è Nessuno: l'oracolo».
Ben costruita è la mappa collocata nelle prime pagine del testo e impostata fondamentalmente sull’elenco sistematico delle imbarcazioni dell’«Iliade» della «Grecia Omerica», la quale fornisce un indispensabile aiuto ai lettori per l’identificazione dei luoghi da cui provengono gli eroi citati nell'opera. Di particolare importanza per la piena comprensione del romanzo storico è la «nota dell’autore», nella quale il Manfredi sottolinea come il testo in questione si occupa della nascita, fanciullezza, età intermedia tra l'adolescenza e la maturità e infine dell'età adulta di Ulisse, fino alla sua presenza all’azione militare degli Achei (l’autore adopera costantemente il vocabolo «Achaia» per fare riferimento alla Grecia) contro la città di Troia in Asia minore, per compiere una giusta vendetta ricambiando l'offesa perpetrata da Paride e subita dal re Menelao. Evidenzia come il sovrano di Itaca sia il personaggio principale nell’«Odissea», nell’«Iliade» e pure nei «poemi del ciclo» (dei quali si hanno poche notizie, avendo a disposizione oggi solo alcuni frammenti), che raccontavano sia la conquista e la distruzione di Troia grazie ad Ulisse, sia le vicende dei rientri nei propri reami degli autori delle gesta leggendarie descritte nell’«Iliade». Attraverso i «poemi del ciclo», tragediografi greci come Eschilo, Sofocle ed Euripide hanno potuto conoscere il personaggio di Ulisse. Nei secoli successivi autori di componimenti poetici ed opere letterarie come Virgilio, Dante, Shakespeare, Pascoli e per finire Joyce sono rimasti affascinati da una simile figura, benché ognuno di essi abbia offerto una interpretazione differente del monarca di Itaca, che deve tener conto del momento storico in cui vissero i sopra menzionati scrittori. 

Testa di Ulisse, II secolo a.C., Museo archeologico di Sperlonga

Il Manfredi fa notare come si sia sforzato di presentare Ulisse così come viene mostrato nell’«Iliade» e nell’«Odissea». In fondo la peculiarità di questi testi è avere la capacità di dialogare con i lettori di un qualunque periodo storico, conservando la loro efficacia. Mette in risalto il suo sforzo nell’usare uno stile semplice, facendo a meno di frasi lunghe e complicate. Rimanda alla lettura del libro «Mare Greco», redatto unitamente a Lorenzo Braccesi, per comprendere pienamente i suoi convincimenti sulle composizioni omeriche in versi, sul personaggio di Ulisse e per il ricco elenco di opere menzionate in appoggio alle sue opinioni, mentre per i «poemi del ciclo» oramai smarriti fa riferimento a «L’epica perduta» di Andrea De Biasi e all’elenco di opere citate dallo scrittore. Nell’uso dei nomi propri di persona e di luogo il Manfredi ha optato per l’italiano per i nomi più famosi e già tradotti da lungo tempo nella lingua di Dante, invece per il greco per quelli meno conosciuti o che, per ragioni di ricostruzione di determinati ambienti e delle condizioni psicologiche, ha ritenuto di maggiore forza espressiva e fascino nell’idioma originario.

Francesco Primaticcio - Ulisses e Penélope

Il protagonista del romanzo, Ulisse, racconta il perché i diversi sovrani achei avessero dichiarato guerra alla città di Troia, cioè per aver prestato giuramento innanzi al re Tindaro, genitore di Elena, del quale Ulisse si era impegnato all’assolvimento. Lui stesso narra come Elena avesse deciso chi prendere come suo sposo e come gli altri pretendenti prestarono giuramento di combattere con le armi coloro che avessero portato via con l’inganno la donna a Menelao. Interessante la presenza nel romanzo del nonno materno dell’eroe di Itaca, «Autolico» (che vuol dire «Lui stesso lupo»), il quale stabilì che il nipote si chiamasse «Odisseo» (significa «odiato da tutti o nessuno»). Fu lui a sollecitare Ulisse a partecipare alla caccia al cinghiale nella quale il protagonista subirà una ferita alla coscia che gli farà rimanere un segno visibile del processo di cicatrizzazione. Un altro personaggio importante è il genitore «Laerte», il quale prese parte all'impresa per impadronirsi del vello d’oro insieme a Giasone e gli Argonauti (spedizione di cui parlerà al suo unico figlio), che farà maturare Ulisse dal punto di vista morale e intellettuale affinché diventi un sovrano probo. Laerte rinuncerà al trono in seguito alle nozze di Ulisse con Penelope. Molto bella e commovente appare la narrazione di come e quando il principe di Itaca conosce la sua futura sposa (la donna giusta per lui), delle loro nozze, della edificazione del loro talamo nuziale, della nascita di Telemaco e dell’allontanamento e commiato di Ulisse dalla sposa e dal figlio per combattere presso le mura di Troia insieme agli altri sovrani achei. Il Manfredi spiega come Argo (celebre per l’evento della identificazione nell’«Odissea»), animale domestico dall'olfatto finissimo, fosse un regalo di Autolico a Ulisse. Il romanziere fa dei brevi cenni all’argomento dell’opera di genere drammatico intitolata «Sette contro Tebe» di Eschilo, all’«Antigone» di Sofocle, al complesso di narrazioni che hanno per oggetto Eracle che, conformemente a quanto narrato dalle leggende greche, pur non avendo alcuna responsabilità, tolse la vita ai propri parenti.

Giovanni Domenico Tiepolo, Processione del Cavallo di Troia, 1773.


La sezione più significativa del testo è senza alcuna incertezza quella che narra il conflitto di Troia, a partire dal viaggio compiuto da Menelao e Ulisse presso il re Priamo fino alla capitolazione e distruzione dello stessa città. Non si possono non citare uomini dotati di virtù eccezionali e autori di gesta leggendarie come Achille, per il quale il re di Itaca dimostra allo stesso tempo rispetto ma pure tristezza, dal momento che egli ha optato per una esistenza breve ma eroica. Inoltre Nestore, uomo assennato e di età avanzata come il genitore Laerte, che tuttavia non può fare a meno di prendere parte ai combattimenti nel conflitto di Troia e alle gioie della gioventù. Mentre Aiace Telamonio cercherà di appropriarsi, con l’ opposizione di Ulisse, delle armi di Achille, ma imbrogliato da quest’ultimo perderà la ragione e si ucciderà. 

Valerio Massimo Manfredi

Di grande rilievo sono le considerazioni sui conflitti armati e sulla fama che lo scrittore fa dire al monarca di Itaca: «Prima di andare in guerra non avevo mai ucciso che animali durante la caccia, ora uccidevo uomini, continuamente, al primo colpo a volte, oppure li finivo…… All’inizio gli occhi soprattutto mi tormentavano, gli sguardi dei morenti mi fissavano dopo che mi ero addormentato e non mi davano tregua per tutta la notte. Poi mi abituai…. A volte, nell’infuriare della mischia, nel delirio delle grida e del sangue mi venivano in mente le parole di Damaste quando mi insegnava a battermi con la spada nel corpo a corpo: “Questo è ciò che chiamano gloria”». Anche la presa di Troia, ottenuta grazie ad un raggiro, farà rimanere Achei e Troiani turbati. In effetti: «la vittoria aveva il sapore amaro dell’infinita, cieca violenza, il pianto delle donne e dei bambini era tagliente come una lama sacrificale, acuto, incessante. Solo le Moire velate di nero danzavano sul campo di morte apparendo e sparendo nell’aura fosca. L’impresa era annegata in un mare di lacrime». Parere chiaro quello del Manfredi sul conflitto celebrato da Omero e su qualsiasi conflitto esistente sulla Terra. Non vi è nessuna fama, così come è magnificata nei «Sepolcri» da Foscolo, ma solo lamenti e sofferenze. Pertanto Ulisse, rinomato per la sua scaltrezza e per la brama ardente di conoscenza, diviene in questa opera il simbolo dell’afflizione e dello stato di malessere causato da un acuto desiderio di un luogo lontano (Itaca) e di persone assenti (la famiglia), ma pure della speranza di un modo di vivere genuino, raffigurato da Itaca, sgombro da preoccupazioni ed affanni.
Il lettore sin dall’inizio del romanzo ha l’impressione di vivere in quel mondo di un passato lontano, eroico, mitico e non vede l’ora di leggere per intero il testo. Consigliato soprattutto a coloro che sono interessati ai popoli e alle civiltà antiche.
Giampiero Lovelli

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