Il mio posto nel mondo

Creato il 10 novembre 2011 da Albino

Parte 1 – il mio lavoro.

Spesso la gente mi chiede cosa faccio nella vita, e io rispondo “il consulente”, che vuol dire tutto e niente. E infatti la gente non capisce.

Iniziamo a spiegare mettendo i puntini sulle i: c’e’ consulente e consulente. Il consulente di solito viene identificato come una persona che lavora in proprio, mentre io lavoro in azienda. Il mio caso e’ un po’ un misto tra la figura del libero professionista e quella dell’impiegato d’azienda.

La cosa ha dei bei vantaggi: uno su tutti, ho la liberta’ del consulente, e contemporaneamente la sicurezza economica dell’impiegato. Per esempio, io non ho cartellini da timbrare, ne’ ho l’obbligo di stare in ufficio 8 ore al giorno. Pero’ prendo lo stipendio a fine mese come ogni dipendente. Se ho bisogno di andare da qualche parte per lavoro ci vado, mi prenoto hotel e aerei senza problemi e senza bisogno di autorizzazioni perche’ tanto poi la mia azienda carica le spese sui clienti. Nessuno mi controlla, nessuno mi dice cosa devo fare, pero’ allo stesso tempo se ho bisogno di qualcosa posso chiamare l’ufficio del personale, o l’assistenza informatica aziendale. Alcuni dei miei colleghi lavorano direttamente da casa, mentre io preferisco venire in ufficio per disciplina personale, perche’ so che a casa non farei una sega.

Ma come funziona, cos’e’ che faccio da mattina a sera? Dipende. Il mio lavoro di solito e’, come si dice, “80% billable“. Nel senso che per l’80% del mio tempo (per esempio, quattro giorni a settimana) devo lavorare per clienti. Clienti che l’azienda mi ha trovato, e che mi sono stati assegnati. (Ecco un’altra differenza tra me e il consulente che lavora in proprio: io ricevo il lavoro da altri, mentre il libero professionista se lo deve cercare da solo). Il restante giorno a settimana che avanza (in media) lo posso spendere a seconda delle necessita’ facendo aggiornamenti, training, e naturalmente col cosiddetto business development: ovvero, cercando di espandere il business. Quindi posso organizzare presentazioni, meeting, etc.

Ecco la spiegazione dei miei viaggi in Giappone. Il Giappone fa parte del 20% del mio tempo che devo dedicare alle presentazioni e alla ricerca di nuovi clienti. Ho proposto il Giappone, e l’azienda mi ha detto si. La cosa e’ molto interessante, perche’ ho una liberta’ d’azione notevole. E qui passiamo alla parte 2.

Parte 2 – Ho cambiato in meglio

Se potessi dare un voto alla mia vita lavorativa ai tempi del Giappone, da 1 a 10 gli darei un 3. Un 3 dovuto al fatto che ero sottoutilizzato in quanto non sapevano cosa farmi fare, sottoutilizzato perche’ ero ritenuto troppo giovane per fare certe cose (quello che faccio adesso a un giapponese in Giappone glielo fanno fare a 45 anni, e anche anche). Essendo sottoutilizzato ero sottopagato (secondo gli standard del mio valore “internazionale”, ovvero secondo quello che sarei stato pagato come espatriato in altre nazioni, tipo in Cina, o in Corea, o in America. In pratica mi pagavano come un giapponese della mia eta’, ma io – se permettete – valevo di piu’, perche’ nel mio curriculum avevo piu’ esperienze e piu’ skills del salaryman medio). Il voto assolutamente negativo e’ dovuto anche al fatto che le condizioni lavorative della mia vecchia azienda erano atroci: un minuto di ritardo la mattina mi costava mezza giornata di ferie, ogni pretesto era buono per sanzionare chi usciva dalle regole (le regole piu’ assurde, non sto qui ad elencarle ma credetemi sulla parola), lo straordinario era pagato a scaglioni di ore, le ferie erano 10 giorni l’anno, compresa malattia. Terribile per un emigrante che bene o male ha radici e famiglia in un altro continente. Se proprio devo trovare un pregio al mio lavoro in Giappone, e’ il fatto che avevo molto tempo libero (essendo sottoutilizzato), e potevo permettermi il lusso di scrivere post chilometrici su questo blog. E’ quello che mi manca adesso, purtroppo, e non ci posso far nulla. Io sono ancora io: solo, non ho piu’ il tempo materiale per mettere la mia vita su blog.

Se potessi dare un voto alla mia vita lavorativa attuale, gli darei un 9. Il dieci non lo do perche’ la perfezione non esiste, e poi perche’ bene o male ogni tanto qualcosa di noioso mi tocca farlo (tipo negli ultimi due giorni ho dovuto fare un audit della qualita’, e io odio la qualita’ in ogni sua forma).

Parte 3 – il mio posto nel mondo

L’altro giorno qualcuno ha scritto un commento che mi accusava di “elemosinare” viaggi in Giappone. Il fatto e’, come ho spiegato nella parte 1, che i miei viaggi in Giappone fanno parte delle mie attivita’ di business development. Volendo potrei andare in altri posti, ma avendo agganci e contatti a Tokyo la mia azienda e’ ben contenta di mandarmi li’, perche’ sa che io so come trattare con i giapponesi, conosco l’intricatissimo mercato ferroviario come pochi gaijin al mondo, parlo la lingua quel tanto che basta, e via di seguito.

Vedete, non e’ che elemosino. Come ho detto piu’ e piu’ volte, io ho fatto la mia scelta. Ho scelto di andarmene da un posto che mi dava pochissime soddisfazioni lavorative. Ho deciso di crescere una buona volta. Ora a Tokyo ci torno per lavoro: che male c’e'? Finche’ ho opportunita’ da sfruttare ci dovrei tornare magari due o tre volte l’anno. Viaggiando in business class, soggiornando negli hotel del centro, cenando nei ristoranti di lusso a spese non mie. In quei momenti avro’ l’opportunita’ di ritrarmi coi vecchi amici, di farmi la seratina a Roppongi o al mitico Hub di Shibuya, e poi ciao ragazzi alla prossima. A Tokyo, come ho scritto piu’ volte, ci tornerei a vivere solo in grande stile. Appartamenti da 30mq, orari assurdi e burocrazia folle: ho gia’ dato grazie. Se torno, voglio essere uno degli espatriati che vivono negli appartamenti di hiroo o di azabu a spese aziendali, voglio condizioni lavorative all’occidentale. Senno’ ci torno solo per viaggi di lavoro e vaffanculo.

Chiamatemi scemo. E la sapete una cosa? Appena mi riesce mi faccio spedire pure a Hong Kong, e a Shanghai, e a Singapore, e a Seoul, e a Bangkok. E naturalmente, perche’ no, se ci scappa, in Italia. E poi torno alla base, sotto il sole di Sydney. Altro che elemosina.


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