Questo arrivo è stato strano, diverso da come lo immaginavo. Mi aspettavo che Kyoto mi avrebbe accolta a braccia aperte, la figliola prodiga torna a casa, ammazziamo il vitello grasso e festeggiamo per giorni e giorni, invece ha fatto un po’ l’offesa, come se si fosse stizzita per la mia prolungata assenza. La prima sera nella mia casa, la stessa in cui ho vissuto lo scorso anno, mentre faticavo ad addormentarmi a causa del jet lag, mi sono sentita sola. In fin dei conti questa città ora è in qualche modo l’involucro vuoto di tante esperienze e conoscenze, di tanti incontri che non si ripeteranno. Sì lo so che conoscerò altre persone, e ne sono impaziente, ma nemmeno se fossi un’inguaribile ottimista (e non lo sono) crederei di poter avere la stessa fortuna per due volte di seguito.
Hamad International Airport, Doha
Nonostante avessi una lista dei desideri, ancora non ne ho fatto nemmeno una delle cose che tanto attendevo, perché – buu, noia! – le faccende pratiche hanno la priorità. Il mio primissimo acquisto è stato una bicicletta usata che per ora è arancione, ma presto tingerò di qualche altro colore, a cui non ho ancora dato un nome. Poi mi sono occupata della casa, sempre siano lodati i 100 yen shop, l’ho ripulita da capo a fondo, trovando un gokiburi morto sulla lampada della cucina. Dosi extra di candeggina dappertutto.
Hamad International Airport, Doha
Oggi sono andata a scuola per il test di piazzamento, ho fatto una breve escursione per salutare il Kamogawa, e poi da Yamaya a procacciarmi vera pasta, vero sugo e vero olio – lo so, sono molto italiana. E poi la Nutella, che a Bologna non ho mangiato nemmeno una volta in sei mesi, ma qui se non ce l’ho in casa mi sento perduta. Ora sono pronta a tutto, da domani si inizia con le cose che ho davvero voglia di fare.