Una favola commovente e appassionata che strappa il lettore alla quotidianità per trasportarlo in un mondo fantastico che conserva intatta l’ingenuità appartenuta ai primi uomini, quel candore manicheo che si riflette in una società scevra da contraddizioni, basata sulla collaborazione e su sentimenti mai stucchevoli, né esasperati. Proseguendo la lettura, ogni cosa sembra perfettamente possibile, plausibile, a tratti perfino reale. Viene da chiedersi perché libri del genere, soprattutto in Italia, vengano guardati con sufficienza da chi celebra una letteratura aulica e cervellotica, che riflette su se stessa e sul mondo senza in fondo giungere a nulla di nuovo. Romanzi come quelli della saga Harry Potter, celebratissimi anche da noi, insegnano invece che il fantasy piace sempre più perché allontana dalla realtà ricreandone una nuova, spesso migliore, dove i confini tra bene e male sono ben delineati e il bene vince sempre. Tutto questo, lungi dall’essere un imbarbarimento della cultura, insegna che oggi si ha più che mai bisogno di recuperare una fantasia senza la quale l’umanità non avrebbe costruito ciò di cui gode. Cosa sarebbe oggi l’uomo, senza la fantasia che l’ha sempre spinto a guardare oltre, a immaginare cose impensabili? La Mastrovito si fa interprete di questo bisogno, creando un mondo di troll a misura d’uomo, pensato per le sue esigenze e i bisogni più autentici, valori come amicizia, coraggio e solidarietà. Ad di là della storia e dei personaggi, di una semplicità disarmante eppure mai banali né stereotipati, questo romanzo colpisce per la scrittura: limpida ed evocativa, è la lingua ideale per raccontare una favola d’altri tempi. La Mastrovito è una sorta di cantastorie dei giorni nostri, in grado di creare mondi nuovi ammantando le parole di una magia palpabile eppure inspiegabile. Quando vado a trovarla per intervistarla, in una fredda mattina di dicembre, rimango a bocca aperta entrando nel suo negozio: ovunque ci sono fate, gnomi e troll che mi occhieggiano benevoli dagli scaffali di legno; sembrano quasi invitarmi a entrare in un mondo che mi sembra diverso da quello lasciato in strada, un piccolo mondo in cui il tempo è sospeso e io mi sento inspiegabilmente a mio agio, pur non essendoci mai stata prima.
Ciao Miriam, benvenuta sul blog “Sul Romanzo”. La prima cosa che mi ha colpita, leggendo la tua biografia, è che siamo conterranee. Siamo entrambe pugliesi, eppure sia io che tu, come molti altri scrittori, ci siamo rivolte a case editrici nel Nord Italia. Perché questo? Cosa manca qui al Sud per quanto riguarda l’editoria?
Grazie a te per avermi ospitata. In realtà nel 2009 ho pubblicato anche con una casa editrice di Barletta, La penna blu. La Zero91 ha sede a Milano ma i suoi fondatori sono due siciliani. Penso che il nostro sud sia ricchissimo di persone animate da ottime idee e tanta voglia di fare, spesso mancano le risorse e le giuste opportunità per concretizzarle. È un problema che non riguarda solo l’editoria ma l’arte e il mondo del lavoro in generale.
Leggo tantissimo e cerco di imparare quanto più possibile leggendo. Considero gli autori che amo dei modelli inarrivabili perciò non mi ispiro coscientemente a loro, tento piuttosto di mantenere le distanze per evitare il confronto. L’autore che più amo e che più di tutti considero un Maestro è Stephen King. Tra gli scrittori fantasy il mio preferito è Neil Gaiman.
A cosa è dovuto, secondo te, il successo sempre maggiore del genere fantasy? Può ricondursi a un imbarbarimento del livello culturale degli italiani – come sostengono alcuni critici – oppure, più semplicemente, deriva dal bisogno di sognare, di staccarsi per un po’ dalla realtà che in questo periodo è così tetra e non lascia intravedere spiragli di miglioramento?
Il fantasy spesso, soprattutto in Italia, è considerato “narrativa di serie B”. Non ho mai condiviso questa opinione né ritengo che il fantasy sia un genere di pura evasione.
Penso che la magia non rappresenti una via di fuga dalla realtà ma un modo di viverla, di sentirla, di rapportarsi a essa. Per amare e riconoscersi nella letteratura fantastica è necessario conservare da adulti quel “sense of wonder” che ci accomuna tutti nell’infanzia.
Riscoprirlo e coltivarlo, a mio parere, non è un sintomo di imbarbarimento del livello culturale, rappresenta piuttosto un allargamento dei propri orizzonti. Il senso di meraviglia è il motore della conoscenza. Il successo del fantasy può ricondursi a un rinnovato desiderio di osservare il mondo che ci circonda a partire da una prospettiva nuova, magari al fine di migliorarlo. A me piace pensare che sia così.
Il panorama culturale italiano appare sempre più diviso in due fazioni: da una parte una corrente intellettuale piuttosto snob, che vuole una cultura e una scrittura d’élite, accessibile a pochi, e che storce il naso dinanzi ai romanzi di genere; dall’altra chi invece si dedica con passione a questi ultimi, creando a volte piccoli capolavori. Cosa pensi di questa diatriba? Ai giorni nostri, secondo te, qual è il ruolo della letteratura?
Considero la scrittura uno strumento di comunicazione, un mezzo per veicolare le idee oltre confini spazio-temporali. Quante più persone raggiunge, tanto più si rivela uno strumento efficace. La scrittura d’élite, dal mio punto di vista, è un mezzo di comunicazione “zoppo” proprio perché si rivolge a pochi. Solitamente la corrente intellettuale snob di cui parli associa la popolarità di un genere o di un libro alla scarsa qualità ma non sempre l’associazione è valida. Perché mai un romanzo che tratta argomenti “popolari” e si caratterizza per un linguaggio semplice accessibile a tutti, non potrebbe essere un capolavoro letterario?
Pinocchio non è forse uno dei più bei romanzi che siano mai stati scritti?
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