Il mondo si divide in due parti, per quanto riguarda gli amanti delle serie televisive. I primi guardano la tv, semplicemente, e dicono: “Oh, guarda stasera c’è Castle!” e serafici se lo vedono. Una sottocategoria è quella di coloro che si sono abbonati a Sky, o roba equivalente, e spaziano fra le offerte; oppure, con obiettivo mirato, si sono procurati la possibilità, attraverso questo mezzo, di riuscire a seguire proprio le serie tv che apprezzano. Questi sono quelli che Chiara Poli ha definito i maniaci seriali. Qui c’è chiaramente un’intenzione specifica, non “Oh che bello, guarda caso c’è la mia serie preferita a un orario decente!”, ma “Pago, ma finalmente posso seguire The Walking Dead – per esempio – con un accettabile grado di coerenza e senza attendere troppo”.
Sì perché la programmazione Rai e Mediaset, tranne qualche sparuta eccezione, tratta malissimo le serie tv, sconvolge l’ordine delle puntate, persino delle stagioni, cambia gli orari, sospende ex abrupto la visione senza avvertire… E vogliamo parlare dell’onnipresente pubblicità? Che fa perdere la pazienza pure ai santi? Questa categoria di telespettatori, cosciente di ciò che vuole, può anche scegliere di vedere le serie in lingua originale. E non è poco. Già questo discrimine separa il telespettatore casuale da quello motivato. Il primo dei sottotitoli non vuol sentir parlare, perché il godimento di una visione spensierata sembra essere pesantemente contraddetto dalla necessità di decifrare le paroline bianche ai margini del video. “O guardo le scene o leggo i sottotitoli” dice, candido.
Passiamo allora alla seconda categoria: quelli che in un modo o nell’altro sono passati al di là della soglia della tranquilla visione di ciò che la tv o Sky “generosamente” offrono. Di questo tipo di maniaci seriali fanno parte coloro che guardano il calendario, l’orologio – insomma il cellulare – per vedere se è giunto il giorno in cui negli Usa o in Gran Bretagna (in genere) arriva la loro serie preferita, o le loro serie preferite, il cui numero può anche essere altissimo. E, appena è scattata l’ora X, scaricano.
Chi fa parte di questa categoria sa di che sto parlando, ma descriviamo questa genia di “videospettatori” ai nostri cari lettori che stazionano nella prima parte del mondo summenzionato.
Allora, per esempio, Once Upon a Time va in onda in Usa la domenica e, sempre per esempio, The Vampire Diaries il giovedì. Rispettivamente il lunedì e il venerdì mattina il file è a disposizione per il fandom di tutto il mondo, in un lucido e pressoché incomprensibile inglese (la comprensibilità varia in base alle competenze linguistiche di ognuno). Se poi la serie è, che so, Downton Abbey allora la stretta pronuncia british, persino leggermente diversa se chi parla abita ai piani bassi o nelle stanze della nobiltà, sarà ancora più chiusa, mentre i più sguaiati americani saranno più facili da capire. Il file è a disposizione per i famigerati e benemeriti programmi di file sharing (conosciuti come il Mulo, l’Elefante…) la cui liceità è tuttora in discussione.
Giusto per un’infarinatura nell’interesse di chi fosse a digiuno sull’argomento, cito da Wikipedia:
“Il File sharing rientra nella sfera dei diritti fondamentali previsti dalle convenzioni internazionali e dalle carte costituzionali di tutti gli stati democratici, dal momento che si basa sulla comunicazione tra privati. In Italia, ad esempio, l'articolo 21 della Costituzione sostiene la libertà di espressione e accesso alla cultura e all'informazione, mentre l'articolo 15 sancisce l'inviolabilità della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione tra privati. Questi diritti fondamentali, essendo in posizione preminente rispetto a tutti gli altri, possono essere limitati solo se vi è pericolo di violazione di diritti di pari rilevanza, tra i quali non possono essere annoverati i diritti d'autore”.Ho citato qui l’argomento a favore, non quelli contro, ma è un dato che il fenomeno sia in aumento, come è altresì un dato altrettanto interessante che il contesto della produzione televisiva si sta organizzando per adattarsi a questa fruizione “alternativa” che, proprio perché tanto condivisa, lancia messaggi molto precisi sulla necessità che sia il mercato a modificare la sua natura e non gli utenti a dover aspettare i tempi lenti esigiti dall’acquisto nei vari paesi dei prodotti telefilmici, dal doppiaggio ecc. ecc.
E qui arriva quella che, per chi non si fosse già abituato, è una vera meraviglia: nel giro di una giornata, a volte di poche ore, i sottotitoli in italiano sono disponibili, e del tutto gratuitamente. Gnomi, elfi e fate lavorano indefessamente per la felicità di chi non può aspettare nemmeno qualche minuto di troppo per sapere che succede ai propri personaggi preferiti. Ma chi lo fa e perché?
I rifugi accessibilissimi di questi personaggi magici, che lavorano senza nemmeno la necessità che un qualunque Babbo Natale arrivi a dare il ritmo, si chiamano Itasa, Subsfactory e altri. Se volete sapere di più di questo mondo nascosto, fatto di passione, impegno e gratuità, il reportage pubblicato dalla casa editrice Zandegù fa decisamente per voi. Gli autori si sono avvicinati, con lo stesso interesse e devozione con cui lo farei io, a questi benemeriti della rete, ne hanno raccontato la storia e li hanno intervistati. Il fenomeno è solo degli anni 2000 ed è davvero interessante, perché così sapido di una voglia di fare le cose bene, il meglio possibile, da risultare nuovissimo e antico nello stesso tempo. Già, perché nella maggior parte dei casi la traduzione canonica per il doppiaggio in italiano delle serie, asservita al sincrono dei movimenti delle labbra, storpia moltissimo i contenuti e i riferimenti alla cultura e alla pop-culture americana e inglese, mentre questi pionieri, questi eruditi alessandrini della traduzione, si sforzano moltissimo di rispettarne la coerenza.
Il reportage è breve e scritto con frizzantezza e simpatia e svela i retroscena, racconta le motivazioni personali, lasciando emergere qualcosa di persone a cui, sinceramente, io erigerei una statua. Già perché, faccio outing, io sono una maniaca seriale! Ma forse lo sapevate già. Autore: Simone Laudiero Titolo: Last night a subber saved my life: Dalle serie Tv ai sottotitoli Editore: Zandegù Edizioni Data di Pubblicazione: 22 aprile 2013 Prezzo: € 1,99 Dimensioni file: 995 KB Trama:Ultimamente, le serie televisive sono diventate un vero e proprio fenomeno di costume e hanno costituito una svolta epocale nel modo di guardare la tv: è infatti cresciuto a dismisura il numero di persone che siedono davanti allo schermo di un pc invece che al televisore. Oggi in rete si trovano produzioni, spesso made USA, di gran lunga migliori dell’intera offerta dei 300 e più canali del digitale terrestre. Ed è facilissimo seguirle, perché qualcuno, nottetempo, smanetta per realizzare i sottotitoli in italiano. Ma chi sono? E perché lo fanno? In questo libro Simone Laudiero indaga su cosa, e soprattutto chi, sta dietro al funsubbing. Un reportage leggero e divertente nel microcosmo dei sottotitoli, che ci svela chi sta dietro a nickname come Zefram, Debug o LordThul, divenuti familiari per la maggior parte di noi, che siamo sempre a caccia dell'ultima puntata di Breaking Bad e Game of Thrones.
L’ebook è in vendita dal 22 aprile sullo shop on-line del sito www.zandegu.it e sarà disponibile anche sulle principali librerie digitali quali Amazon, iTunes Store, laFeltrinelli.it, Ultimabooks e Bookrepublic.
Simone Laudiero è napoletano ma ha vissuto a Bologna, Torino, Milano e Roma. Nel 2008 ha pubblicato per Fazi La difficile disintossicazione di Gianluca Arkanoid. Per la prima Zandegù ha pubblicato i primi due volumi della guida Salvare il mondo non è mai stato così facile! con lo pseudonimo di Giampelmo Schiaragola. Nel 2012 ha pubblicato Ti presento i preppers (se finisce a fucilate la vedo dura) sempre per Zandegù. Attualmente è impegnato ne La Buoncostume, un progetto di sceneggiatura per web e Tv.