13 settembre 2013 di Francesco Danieli
Assoluzione al tumulo. Ultima parte della Missa da requiem, secondo il rito tridentino (Disegno d’epoca)
La nostra epoca è l’età delle perifrasi. Il cieco è diventato non vedente, il sordo non udente, lo spazzino operatore ecologico, il portatore di handicap diversamente abile. Così pure, ritenendo un’offesa il termine vecchiaia, lo si è sostituito con “terza età”… come se un espediente letterario possa cambiare la realtà delle cose. Ma è la parola morte ad essere stata bandita, più di ogni altra, dal vocabolario corrente!
Eppure scienza e tecnologia, con i loro deliri di onnipotenza, si infrangono contro l’inesorabile decadimento fisico di ogni essere vivente. Si camuffano vecchiaia e malattia, ma la morte è impossibile nasconderla. La si può esorcizzare con stupidi scongiuri, ma far finta che essa non esista è davvero impossibile.
I pagani dell’area mediterranea usavano consumare un banchetto presso il sepolcro dei propri cari in alcune date stabilite, specialmente nell’anniversario della nascita. Essi ritenevano che il defunto commemorato prendesse parte al banchetto e ne traesse ristoro, tanto che il rito assunse il nome di refrigerium.
I primi cristiani fecero propria questa prassi, fortemente radicata nel popolo, conferendole col tempo una peculiarità eucaristica e apportando alcune modifiche circa i giorni e le modalità della celebrazione. In modo particolare, come attesta Tertulliano intorno alla fine del sec. II (De corona, III), i cristiani fissarono la data per la memoria dei martiri e per il suffragio dei defunti non più al giorno del compleanno ma all’anniversario della morte.
La luce della fede, infatti, riteneva il dies natalis più autentico quello del passaggio alla vita eterna. Sant’Ambrogio di Milano, verso la fine del sec. IV (De excessu fratris, 2, 5), ricorda come tali celebrazioni avessero un carattere di festa e vi fossero estranei il lutto e la mestizia. Il fedele defunto, addormentatosi nella comunione ecclesiale, godeva certamente della beatifica visione di Dio. Solo più tardi l’attenzione andò concentrandosi sul giudizio celeste, sull’incerto destino delle anime, sul bisogno di propiziare ai morti la pace eterna.
Il catafalco, esempio di spettacolarizzazione liturgica della morte, in una vecchia incisione
Già verso il sec. VIII, pertanto, sarà la santa messa il luogo teologico privilegiato per il suffragio dei defunti. Essa verrà inserita nello stesso rito delle esequie, che andrà assumendo un chiaro carattere penitenziale. Per la stessa ragione nel sec. X, al termine della liturgia funebre, sarà aggiunto il rito dell’absolutio con il responsorio Libera me, Domine. Dalla metà del sec. XVI alla riforma del Vaticano II a dominare le messe di suffragio è il catafalco, un’imponente scenografia funebre allestita davanti all’altare maggiore quasi a rendere l’idea di un sepolcro rinascimentale… più o meno sontuoso a seconda della tariffa versata e del defunto suffragato.
Tante candele, tante campane, tanti ministri corrisponderanno anch’essi ai carlini spesi. L’enfasi della morte sarà celebrata in ogni modo, specie con la musica, grazie alle straordinarie messe da Requiem che i più grandi maestri andranno componendo lungo i secoli.
Oggi – anche in campo liturgico – si è passati dalla spettacolarizzazione barocca della morte alla rocambolesca celebrazione di certi funerali. Come al solito… ciò che manca è l’equilibrio! Ciò che resta a legare i tempi passati con quelli odierni è la speranza (che per il credente è certezza) che tutto non finisca sotto una manciata di terra o sotto una lastra di marmo.