Il mito del consenso fascista. Breve analisi di un falso storico.

Creato il 29 ottobre 2013 da Catreporter79

Tra le numerose e più inossidabili mitologie venutesi a creare intorno all’esperienza del 20eenio mussoliniano-fascista, figura e spicca quella del grande consenso di massa di cui il regime ed il suo condottiero-ideatore avrebbero goduto. L’ipnotico refrain “erano tutti fascisti” (mi sia concessa una facile semplificazione) rimbalza tra i vari canali della pubblicistica (e di un fetta consistente della storiografia) nazionale, in modo trasversale, ma si tratta, a ben vedere, di un assioma privo di ancoraggi alla realtà riscontrabile. Compito dello storico e del cronista, è quello di ricostruire l’evento mediante prove documentali reali, verificate e verificabili, concedendo il minimo spazio all’interpretazione speculativa di tipo personale; nel caso di specie, l’acquisizione dalla quale l’analisi storiografica e cronistica deve partire identifica nel numero di 3 i passaggi per la determinazione/calcolo del consenso di una forza politica:

; il sondaggio

; il risultato elettorale

; il numero dei tesserati

Nel primo caso, si tratta di uno strumento ancora scarsamente diffuso, nel segmento temporale che ospitò il Fascismo italiano. Da aggiungere, inoltre, la scarsissima affidabilità di un’indagine demoscopica effettuata all’interno di una società chiusa e regolata da un regime di tipo liberticida. Nel secondo caso, l’unico dato elettorale utilizzabile è quello del 1922 (anteriore alla Marcia su Roma), e ci consegna l’immagine di una forza ben lontana da quel movimento oceanico comunemente tratteggiato (31.000 voti pari allo 0,5%). Per quel che concerne, infine, le tessere, la loro spendibilità come prova e fonte documentale termina il 3 giugno 1938, quando venne preclusa l’attività lavorativa al cittadino non iscritto al PNF. Ad ogni modo, i tesserati al partito ammontavano, nel 1943, a circa 2,5 milioni, su una popolazione che superava i 40.

La propaganda mussoliniano-fascista utilizza di fatto 2 argomentazioni, a sostegno della tesi del “grande consenso”: la mancanza di un’opposizione di massa e la forte presenza di popolo ai comizi del Duce. Nel primo caso, la scarsa presa del movimento antifascista sulle masse si può spiegare con la paura da parte di queste ultime del regime e della sua repressione (situazione presente in tutte le dittature). Nel secondo caso, su una popolazione di 45 milioni di abitanti, i presenti in questa o in quella piazza non possono certo fare statistica.


Non si dimentichi che la storiografia (in ciascuna delle sue branche e declinazioni) è una scienza ed è catalogata come tale, appunto perché trova, come detto in precedenza, la sua finalità nella ricostruzione di un percorso reale attraverso la ricerca e l’analisi di risultati reali. Lo storico non è un artista od un filosofo, e non può formulare il suo lavoro sulla supposizione o sull’interpretazione libera e soggettiva, ma sulla realtà. In questo caso, la realtà è quella di una forza sicuramente non trascurabile, ma indubbiamente, indiscutibilmente e nettamente minoritaria.



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