Il mito analizzato nella letteratura contemporanea è il lavoro curato dal prof. Antonio Melillo, che per le edizioni Limina Mentis dà vita al volume “Il mito nel Novecento letterario”. I contributi sono di autori diversi impegnati nella docenza e nella ricerca e nella poesia e nella critica: Cinzia Demi (Don Giovanni ripensa se stesso nei vari rovesciamenti), Rosa Elisa Giangioia (Il mito classico nella poesia di Margherita Faustini), Daniele Gigli (The waste land dalla parola mitica alla parola incarnata), Gianfranco Laureano (il mondo abitato dal mito in alcune esperienze di poesia contemporanea), Gianfranco Micheli (Thomas Mann il nutritore), Andrea Muni (il mito come luogo della libertà), Neil Novello (Mitopoesia di Gesù Pisolini-Vangelo), Anna Maria Tamburini (Il mito nella letteratura del novecento), Matteo Veronesi (Dal Novecento agli antichi), Antonio Melillo (Il mito come distanza una lettura pavesiana) che in una prefazione molto dotta e completa elabora la documentazione dell’era moderna. Il capitolo di apertura è quello di Gianfranco Lauretano che rivisita la poetica di Giancarlo Pontiggia, di Claudio Damiani, di Salvatore Ritrovato e degli Atlantidi (Ellerani Editore) di Marina Moretti, poeta triestina. “Di noi gli Atlantidi/ dicono che c’è stato un tempo/ sì, c’è stato un tempo/ – che eravamo magnifici/ potenti// servitori dell’impero/ … la nebbia è ormai calata da un secolo/ …..”. Laddove un cataclisma di natura antropologica ha investito il compito e il destino dell’uomo, anzi della sua città, Trieste. “… mi appoggio ad una colonna/e prego mi prenda/ un’anima cristiana/ e non romana.”
“Il mito, – recita la quarta copertina, – è legato a valori di cui l’uomo è rimasto privo, a cui l’uomo aspira perché la condizione in cui vive non gli risulta soddisfacente. È proiezione spesso istintiva, inconsapevole emotiva e fantastica verso valori ritenuti positivi, per cui il mito viene prodotto dall’inconscio collettivo, dall’interno di un gruppo di individui per celebrare qualcosa o qualcuno fuori di loro”. In un mondo in cui gli dei sono sempre meno ascoltati sembra che il mito non esista più, sia obsoleto, ma poi ci rendiamo conto che è presente nell’elaborazione di concetti astratti che pure sono presenti nel nostro immaginario collettivo. Oppure riemerge in figure “mitiche”, lontane come Cesare e più recenti come Basaglia. Mito da considerare non frutto dell’antiragione e dell’infantilismo ma nelle sue valenze innegabilmente positive. “Il nostro mondo è incapace di creare nuove mitologie deve quindi rivolgersi a quelle passate, – ha scritto Dario Del Corno in un suo articolo – Le leggi della società produttiva impongono che ogni cosa abbia un suo scopo e ogni azione un obiettivo e a ogni individuo tocchi un ruolo. In questo ingranaggio sembrerebbe che l’assurdo che è intimamente legato al mito sia un’aberrazione ma l’assurdo è una frontiera da dischiudere frontiere che l’uomo deve valicare se vuole dal particolare andare verso l’assoluto”.
Ogni popolo ha i propri miti che rappresentano i messaggi primari in cui si manifesta la consapevolezza del rapporto tra l’individuale e l’universale. Il mito poi risulta funzionalmente integrato con il pensiero religioso e poetico di un popolo e interagisce con le strutture della società che lo ha prodotto. Potremmo definirlo una forma simbolica del pensiero che mediante il racconto organizza una riflessione dell’esistenza dell’uomo. Il mito è sì una forma prelogica di conoscenza ma non in antitesi con la logica anzi è possibile che i due elementi razionalità e mito coesistano, si veda ad esempio il simposio di Platone col discorso di Aristofane sull’origine dell’uomo, il tutto è ampiamente irrazionale ma funzionale a un discorso che è profondamente logico.
La modernità spesso ne relativizza il concetto, ma per penetrarlo è necessaria una dimensione storica, per cogliere le sue dimensioni autentiche e le sue molteplici sfaccettature.