Mi rendo conto che la maggiore o minore predisposizione fisica possono solo in alcuni casi rendere più o meno facile l’apprendimento degli schemi motori, ma sta di fatto che esistono tanti diversamente abili che praticano, e in alcuni casi insegnano aikido anche ad alto livello, e con ciò si può fugare qualunque dubbio sul fatto che la coordinazione innata sia una qualità indispensabile per un buon esito dell’apprendimento e pratica dell’Aikido. Tuttavia le insidie che aspettano il praticante che inizia ad avere il piacere di calcare il tatami sono piuttosto dure da sconfiggere, tra queste le più rumorose sono a mio parere quelle che riguardano il “lasciarsi andare”. Fare uke piace solo a chi l’aikido lo sa praticare bene, di solito a chi inizia risulta difficile, in alcuni casi finto, un cedere che infastidisce l’orgoglio maschile di “essere sottomesso” e che si traduce in atteggiamenti di blocco o resistenza al movimento. Non ultima la paura di farsi male e di fare male che può essere oltrepassata solo con una pratica dolce e fluida e aumentando la velocità con pazienza e rispetto dei tempi dell’altro.
Ahimè occorre essere sinceri quando si parla dell’aikido ai neofiti, specie a quelli che si aspettano di imparare a difendersi , l’aikido è piuttosto un percorso autodidattico di progressivo rilassamento fisico e psichico, NON una maniera di sopraffare l’altro. Altresì è vero che nell’allenamento ben fatto, anche quando è vigoroso, così come non proiettiamo violenza e sopraffazione sul compagno/a allo stesso modo non dovremo subire l’esperienza della sopraffazione, per questo lo definisco percorso autididattico, perchè la didattica tradizionale insegnante allievo avviene solo nell’apprendimento dello schema tecnico e delle sue applicazioni ma il “significato” profondo di quel lavoro costante di coppia e dei suoi importantissimi risvolti emotivi pacificatori è qualcosa che il praticante estrapola (magari se invitato a farlo) dagli effetti psichici del lavoro corporeo.
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