Il mondo affascinante delle piante: le leggende dei colossi secolari

Creato il 26 settembre 2011 da Yellowflate @yellowflate

Gli alberi variano enormemente di dimensioni.
Un albero secolare come certi larici d’alta montagna, può essere alto appena cinque metri. Un altro di rapido accrescimento come il pioppo, è in grado di raggiungere in dieci anni i venti metri di altezza.

L’Italia, non è terra di grandi alberi secolari, eppure qualche pianta colossale e ultracentenaria si incontra ancora qua e là, nei posti più impensati della Penisola. Spesso mutilati dall’uomo  o dalle intemperie, corrosi dal tempo e dal sole, resistono immoti.
Vi raccontiamo alcune delle loro storie vi piaceranno.

Il figlio del diavolo

Si trova a Macugnaga (Novara) e fu piantato, dice una tradizione, nel 1260.
Per alcuni secoli, sotto la sua grande ombra, il pretore di Vogogna, un paese della Valle Anzasca, amministrava la giustizia in estate. Attorno al tiglio si teneva ogni anno anche una grande fiera: i mercanti italiani vendevano le sete, i contadini svizzeri le ricotte e i formaggi. Nel novembre del l906, un nubifragio spezzò la parte superiore dell’albero.
Secondo una leggenda, invece, la colpa sarebbe stata di un carrettiere. Avendo ordinato, in una vicina locanda, pollo e vino, costui si sentì rispondere dall’oste, timorato di Dio ” Oggi  é venerdì, ho solo uova e formaggio”. Ma il carrettiere pretese e ottenne il pollo. Poi, staccò dalla parete il crocefisso, lo scaraventò a terra e lo ricoprì di ossa spolpate. Improvvisamente, però, l’uomo si sentì male e capì che il  demonio gli era entrato nel corpo; condannandolo a vagare per sempre fra i ghiacci del Monte Rosa. Uscito nella notte dalla locanda, fu afferrato dal vento, che lo scagliò contro il tiglio come un proiettile: e la cima dell’albero si spezzò.

Il Platano dei cento bersaglieri

Caprino Veronese possiede il platano più grosso d’Italia.
Il suo tronco, mostruoso e bitorzoluto, ha una circonferenza di circa 15 metri. E’ stato piantato, si dice, verso il 1730, quando Caprino Veronese era feudo della famiglia Malaspina, per testimoniare, secondo un’usanza oggi perduta, la fine della costruzione di una nuova casa.
Lo fiancheggia il torrente Tasso, che scende dal monte Baldo e sfocia nell’Adige. Nel legno del platano sono racchiuse, seppellite dalle successive crescite, alcune schegge di proiettili, esplose durante la battaglia di Rivoli, combattuta nel gennaio del 1797 fra le truppe di Napoleone I e gli austriaci del generale Alvinzy.
La vocazione guerriera dell’immenso platano è continuata nel nostro secolo: nel 1937 una intera compagnia di bersaglieri, che partecipava alle manovre dell’esercito, trovava rifugio sotto che sue fronde. Da allora, l’albero porta il nome di Platano dei bersaglieri.

La rovere della giustizia

Sorge su un breve pianoro, non lontano dal paese di Gradola(Como), in bellissima posizione panoramica
Nel dialetto locale viene chiamata regulon, che significa grande rovere, la sua età viene normalmente calcolata fra gli 800 e i mille anni. I documenti relativ alla pianta, dichiarata monumento nazionale, sono andati distrutti in un incendio che ha divorato, verso la fine del 1800, l’archivio parrocchiale di Porlezza, dove erano custoditi.
Si sa tuttavia con sufficiente certezza, che ogni primavera, durante il Medioevo, si radunavano sotto la sua chioma i Consiglieri dei Comuni delle vicine Valli per amministrare la giustizia e legiferare sula vita delle popolazioni. Pare che l’usanza, comune ad altri paesi d’Europa, sia durata sino alla fine del 1530, quando gli anziani di Girandola, Naggio e Boilate, di questo comune oggi esistono solo i ruderi, vi si diedero convegno per dirimere una controversia dei loro Comuni.

Il leccio del Frate Santo

E’ tuttora verdeggiante a Vico del Gargano (Foggia). La sua storia è stata raccolta dai frati Cappuccini del luogo.
Eccola. Il leccio fu piantato da padre Nicola, un umile frate di San Francesco, che qui passò buona parte della sua esistenza e morì in concetto di santità. Un giorno, recatosi nella Foresta Umbra, il frate scavò presso una fonte un piccolo abbeveratoio per il suo mulo. Ed ecco,ben presto spuntare dalla terra un minuscolo leccio. Padre Nicola prese la pianticella e la trapiantò presso il convento. Prima di effettuare l’operazione pregò il Padre Superiore di benedire la terra ed il giovane germoglio. Il frate si affezionò moltissimo alla pianta, ed ogni mattina, prima di recarsi al lavoro, la innaffiava con cura. Non si conosce la data esatta dell`avvenimento.
Si sa, tuttavia, che padre Nicola morì il l0 novembre 1729, quando il leccio era già abbastanza cresciuto. Si può quindi supporre che l’albero sia stato piantato verso la fine del 1600 e che ora conti circa tre secoli di vita. Attualmente il suo tronco ha una circonferenza di circa cinque metri.

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