Massimo Giacon (1961) è un artista eclettico: illustratore, designer, musicista, disegnatore di fumetti. Ha già collaborato con Tiziano Scarpa nella realizzazione del libro illustrato Amami (2007), nato dalla giustapposizione tra testi e disegni in bianco e nero. Nel 2014 questa collaborazione ha dato un’ulteriore frutto: la graphic novel Il mondo così com’è, che riflette sui modi e sulla costruzione del linguaggio fumettistico.
Tiziano Scarpa (1963) è scrittore, poeta e drammaturgo. Negli anni ’80 ha sceneggiato alcuni fumetti per Frigidaire. Con il libro Stabat Mater ha vinto nel 2009 il Premio Strega. Ha scritto testi per la radio e per il teatro, Il mondo così com’è è l’ennesima riprova della poliedricità della sua scrittura.
Tu e Tiziano Scarpa avete già lavorato insieme nel libro illustrato Amami; stavolta vi siete spinti oltre, realizzando questo complesso volume a fumetti; come si colloca Il mondo così com’è rispetto al lavoro precedente?
Massimo Giacon: Amami, tecnicamente, era un libro illustrato, anche se si dovrebbe definire un libro di “illustrazioni raccontate”. Tiziano aveva visto una mia installazione in un albergo, dove nel bagno di una stanza avevo esposto 100 disegnini con persone che guardavano “in macchina” dicendo tutte “amami” mentre si esibivano in un campionario di azioni atroci e sublimi (dall’automutilazione alla zoofilia, per andare in ordine alfabetico). Da questa installazione, che a Tiziano piaceva molto, nacque il libro, che per oscure ragioni venne pubblicato negli Oscar Mondadori, che si accorsero solo a misfatto avvenuto di avere in mano materiale non proprio consono ai loro standard. A ogni modo il libro vendette bene, ma una volta esaurita la prima tiratura, Mondadori non lo volle più ristampare. Il Mondo così com’è invece è un vero graphic novel, realizzato su espresso desiderio di Simone Romani, l’editor in capo di Rizzoli Lizard. Tiziano ed io volevamo farlo da tempo, ma non avevamo delle idee convincenti, nel senso che ci convincessero reciprocamente. Poi, due estati fa, Tiziano mi telefonò e mi disse “penso di esserci”, e mi mandò la prima stesura. Una volta letta la sceneggiatura capii che Tiziano aveva riflettuto molto sul medium fumetto, e aveva scritto qualcosa che poteva essere realizzato solo con le immagini. Intendiamoci, non è una rivoluzione, non era nemmeno nelle intenzioni… Ma si trattava di qualcosa che si poneva un problema di linguaggio specifico, non si limitava a un raccontino letterario da illustrare a fumetti.
Tiziano Scarpa: Penso che Massimo abbia ragione, ho cercato di immaginare qualcosa dove le parole e le figure fossero inseparabili e necessarie, a pari merito, come nei fumetti che amo di più.
Come in Amami avete dedicato molto spazio alla neuropsichiatria e all’ indagine sull’ amore, le malattie mentali, l’ossessione per i particolari che rendono uniche le persone che si amano e che però sembrano unite in un rapporto quasi principalmente narcisistico. Da cosa nasce questo vostro interesse?
MG: Non lo so, parlare d’amore non fa parte del mio istinto. Nel calderone di influenze horror, televisive, fantascientifiche, cartoon, fumettistiche, cinematografiche, hip-pop, new-wave, punk (e mi fermo qui), mi sembrava che la parte romantica fosse esclusa. In realtà poi mi rendo conto che è sempre stata molto presente nelle opere da me più apprezzate; alla fine se non ci fosse la componente romantica in opere come Il fantasma del palcoscenico di Brian De Palma o in Watchmen di Alan Moore, che cosa resterebbe? Vendetta e mazzate? In realtà mi interesserebbero molto meno. Per quanto riguarda neuropsichiatria e malattie mentali per me non è un interesse, quanto una tragica realtà con cui ho avuto a che fare per molti anni come esperienza diretta, sia per questioni familiari che per frequentazione forzata con le disgraziate strutture cliniche del nostro paese.
TS: Forse quello che, apparentemente, ha parlato più spesso di amore sono io, per esempio nella raccolta di racconti Cosa voglio da te. Ma il bello è che quando ho fatto leggere a Massimo la prima versione del soggetto, è stato lui a suggerirmi: “Sono tutti maschi questi personaggi. Perché non ci metti anche una donna?” Allora ho fatto entrare in scena la dottoressa Yvana Zedda e la sua storia d’amore con Alfio. Riguardo alla neuropsichiatria, un “caso clinico” ti permette di raccontare storie molto fantasiose restando credibile. Uno studioso, Todorov, diceva che ci sono storie “fantastiche” (con prodigi, fantasmi, eventi surreali) e storie “strane” (fenomeni impressionanti, ma perfettamente spiegabili scientificamente): quel che capita a Alfio è “strano”, non “fantastico”. Quando avevamo finito il fumetto è uscito un libro di Oliver Sacks, Allucinazioni, che menziona anche il caso clinico di un uomo che aveva delle visioni abbastanza simili a quelle che abbiamo inventato noi. “Vedi – mi sono detto quando ho letto Sacks –, abbiamo inventato una storia bizzarra, ma non fuori dalla realtà.”
Nella carrellata di casi patologici che avete analizzato, il personaggio di Alfio Betiz rappresenta un esempio particolarmente interessante. Attraverso di lui siete riusciti a dare voce e forma a oggetti e scenari che sono solitamente irrilevanti. Qual è la funzione e quale messaggio offre al lettore questo personaggio?
MG: Che lo scopo del nostro libro sia di fornire un messaggio non è era stato pianificato. Si cerca sostanzialmente di raccontare una storia - e trovare la formula corretta per raccontarla. Sembra una risposta molto “da ingegnere”, e poco autoriale, in verità per quanto mi riguarda, mi lascio sempre un margine di “scarsa progettualità”, nel senso che voglio farmi sorprendere anche dalla casualità del risultato. Il fatto che io lavori nel mondo del design è poi una coincidenza. Prima di essere convocato da Ettore Sottsass nel suo studio, del mondo del design non me ne fregava proprio niente. È stata la frequentazione con Ettore che mi ha fatto capire quanto anche gli oggetti e i particolari del mondo nascondessero un sacco di racconti tra le loro pieghe varie, e mi ha fatto ricordare che da piccolo, di notte, nella mia fredda casa di Padova, sentivo veramente gli oggetti bisbigliare tra loro. Non avevo parlato di questa cosa con Tiziano, questa è un’altra coincidenza, anche se c’è una scuola di pensiero che dice che le coincidenze non esistono.
TS: Fra i suoi mille talenti, Massimo ha anche quello del designer, e quindi è particolarmente sensibile agli “oggetti parlanti”. Tanto più che una delle caratteristiche del suo design è anche quella di personificare le cose, di trasformare gli utensili in personaggi: Massimo è capace di vedere un papero in un dispensatore di sapone liquido o un san Sebastiano in un portamatite. Quanto al messaggio, non so: a me piace aver raccontato la storia di un uomo che pensa che le cose siano più interessanti degli esseri umani. Si affeziona alle cose mentre sta per perderle. Mi piace la pagina in cui va in giro a fissare bene gli angoli squallidi della sua città, per ricordarseli quando sarà cieco: uno sgabuzzino polveroso, la riva di un canale inquinato, l’aiuola brulla fra due guard-rail, un sotterraneo della metropolitana pieno di cavi sporchi che escono da un controsoffitto. Li segna sulla mappa come se fossero i monumenti principali della città.
La storia d’amore tra i due personaggi Alfio Betiz e Yvana Zedda rappresenta un paradigma simbolico nella lettura dei rapporti di coppia o addirittura del mondo intero? L’acronimo delle iniziali di Alfio Betiz e Yvana Zedda sembrerebbe raccogliere tutto il mondo, o per lo meno quello alfabetico. Qual è l’idea alla base di questa scelta?
MG: Ah, questa fa davvero ridere: Tiziano l’aveva pianificato per bene… ma delle iniziali dei due protagonisti, e dell’assonanza di Alfio con AlfaBeto… me ne sono accorto solo quando ho finito di disegnare tutto il libro!!!
TS: Sarebbe irritante pretendere di spiegare il mondo intero con una storia.
Mi farebbe venire l’allergia. “Alfio Betiz” è un nome che ovviamente allude alle sue allucinazioni: “alfiobetiz” vede “alfabeto” dappertutto. Legge tutto il mondo, lo attraversa alfabeticamente, e alla fine del suo percorso questo “A-B” incontra “Ypsilon-Zeta”, Alfio Betiz incontra Yvana Zedda, e tutto cambia. Tra l’altro, questo corrisponde alla mia idea di che cos’è una storia: non basta descrivere una situazione (Alfio che legge cosa dicono le cose e si isola dagli esseri umani), bisogna metterla alla prova con qualcosa di imprevisto (Alfio incontra una scienziata che si innamora proprio della sua malattia, che tutti gli altri invece trovavano respingente).
MG: Anche qui la mia risposta è molto “ingegneristica”. Era già quasi tutto nella sceneggiatura. Lo script conteneva un sacco di idee, anche se Tiziano non aveva un’“immagine mentale” su come realizzarle. In realtà nemmeno io. Quando ho letto la stesura finale di quello che dovevo disegnare ero abbastanza spaventato, perché c’erano un bel po’ di “concetti impossibili” da rendere chiari e comprensibili al lettore… Non era proprio come inventarsi uno degli oggetti impossibili di Escher, ma ci andava vicino.
TS: Volevo prima di tutto che Massimo si divertisse il più possibile a disegnare: perché io ci metto un tempo relativamente breve a scrivere una sceneggiatura, ma disegnarla richiede molta più fatica. E poi volevo che i lettori avessero fra le mani una specie di storia-delfino, che salta dentro e fuori dalle onde, dentro e fuori dal racconto puro. Così, per esempio, ho immaginato una pagina simile ad “Aguzzate la vista” o al “Quesito con la Susi” della Settimana Enigmistica, e un’altra pagina con la dottoressa Zedda da ritagliare e vestire con le sagome di abiti e le linguette ripiegabili, proprio come i vecchi giochi per bambini. Mi piace che il lettore ogni tanto sia disincantato, portato fuori dal racconto, per rendersi conto di avere fra le mani un libro di carta, un oggetto parlante proprio come nelle allucinazioni di Alfio.
Vista l’estrema soggettività della visione del mondo che sembrate suggerire, descrivici il tuo mondo, così com’è.
MG: Domanda spiritosa, sottintende che si risponda con una frase a effetto che racchiuda la filosofia del libro e insieme una filosofia di vita, della propria vita. Si può rispondere con una battutina, una scrollata di spalle, una citazione colta o una citazione pop. Io rispondo con uno spazio bianco, perché nello spazio bianco può essere racchiusa proprio l’essenza di tutto il mondo così com’è. Sì, è vero è una risposta molto ruffiana.
TS: Il mio mondo è popolato da personaggi strani che vogliono essere raccontati. Cerco di accontentarli riversandoli nelle parole. È questo il modo che ho per farli sfogare: scriverli. Ma ogni tanto, per fortuna, trovo anche un complice come Massimo che mi aiuta a personificarli in maniera più sostanziosa, attraverso le immagini. Sono più soddisfatti nel ritrovarsi con una faccia e un corpo, invece di essere descritti soltanto a parole: finalmente qualcuno li ha presi sul serio e li ha immaginati con precisione. Così si tranquillizzano e mi lasciano in pace.
Intervista rilasciata via mail il 21 agosto 2014