IL MONDO FINO IN FONDO (recensione). Un buon film italiano, una bella sorpresa

Creato il 10 maggio 2014 da Luigilocatelli

Il mondo fino in fondo, un film di Alessandro Lunardelli. Con Luca Marinelli, Filippo Scicchitano, Alfredo Castro, Manuela Martelli, Barbora Bobulova.
Toh, una buona opera prima italiana che, insieme a altri film recenti (penso a Tir, Piccola patria, Smetto quando voglio), lascia ben sperare nel nostro cinema. Due fratelli dal Piemonte alla Patagonia, quasi un nuovo Dagli Appennini alle Ande che diventa romanzo familiare, racconto di formazione, eplorazione di un altro mondo. Qualche concessione di troppo ai modi e alle retoriche del cinema paesaggistico-ambientalista-naturalista non intacca il molto di buono che c’è in Il mondo fino in fondo. Voto 7+
Ci sono andato prevenuto e disposto al peggio, come si va quasi sempre alle opere prime italiane, e non per malanimo, è solo il precipitato dell’esperienza, il risultato di troppe visioni amare e deludenti. Invece. Invece Il mondo fino in fondo, di un autore, Alessandro Lunardelli, di cui poco si sapeva, s’è rivelato un discreto, più che discreto film, una buona sorpresa, una di quelle cose recenti che fan ben sperare nel nostro cinema (e penso a TIR, a Piccola patria, a Smetto quando voglio, a Il sud è niente). Viaggio complicato e scombinato di due fratelli, da un operoso borgo piemontese fino alla fine del mondo, per dirla alla Papa Francesco, laggiù nell’estremo lembo di Patagonia, anzi ormai Terra del Fuoco. Viaggio che, com’è tradizione narrativa, diventa escursione e esplorazione esistenziale e iter di cambiamento e di formazione, se non di vera e propria iniziazione (all’adultità, come dicon le psicologhe?). Figli di un piccolo imprenditore del tessile, i due son carattero diversi anzi antitetici, benché assai legati vicendevolmente. Loris, il maggiore, è il buon maschio medio realizzato, pronto a subentrare al babbo nella gestione della fabbrichetta e con brava fidanzata in attesa di matrimonio, Davide, il più giovane, fatica ad adattarsi a quel mondo, ha malinconiche ombrosità e irresolutezze ed è quello che più rimpiange l’abbandono, in un giorno della loro comune infanzia, da parte della madre partita verso non si sa che cosa né dove. Sarà la trasferta a Barcellona per la semifinale di Champions League – siamo difatti nell’anno glorioso del triplete, il 2010 – tra l’Inter di cui son tifosi e il Barça, a dare una svolta alla vita di Davide e, di riflesso, pure a quella di Loris. Davide il timido, che realizza di essere gay – e di non voler essere come il fratello macho, e come il padre lo vorrebbe -, allorché un ambientalista estremo e un po’ mattocco di nome Andy se lo rimorchia sulle Ramblas e lo introduce al sesso con tanto di scopata on the beach. Bravo ragazzo com’è, si innamora subito del mattocco, fino a mollare di colpo tutto e seguirlo in patria, che è poi il Cile, davvero dall’altra parte del mondo. A Loris non resta, una volta resosi conto della scomparsa tipo chi l’ha visto? del fratellino, che precipitarsi a sua volta laggiù a Santiago e poi rincorrere il fuggitivo, dargli la caccia. Intanto Davide comincia a rendersi conto di quanto amaro possa essere l’amore allorquando il suo seduttore, una volta arrivati nella comune ecologista estrema e un po’ alla Greenpeace, si rimette con la fidanzata. Comincia il viaggio parallelo e separato dei due fratelli in un mondo remoto e a tratti indecrifrabile, tra incontri strambi (i genitori dell’ambientalista americano) e piccole e meno piccole avventure e disavventure che finiranno con l’incidere in profondità e cambiarli. E vengono in mente certi capolavori della commedia all’italiana, con certi nostri stupefatti connazionali a contatto con realtà estranee, da Riuscirano i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? di Ettore Scola al meraviglioso e semidimenticato Il gaucho di Dino Risi, che con Il mondo fino in fondo ha in comune la location sud americana (là era l’Argentina). Lunardelli azzecca parecchie cose. I dialoghi son credibili e aderenti al reale e ai personaggi, senza quel tremendo sapore d’artificio e quel birignao di tanti film giovani italiani. E se i caratteri dei due fratelli sfiorano pericolosamente il cliché, ce la fanno a non cascarci dentro grazie anche alla bravura e finezza dei due attori. Che sono Luca Marinelli, per la prima volta in un ruolo di maschio medio e risolto, e non nei ruoli di differente-irrisolto in cui siam soliti vederlo, e Filippo Scicchitano, in un altro personaggio gay dopo quello di Allacciate le cinture (però qui è meglio). Ma a convincere davvero è l’abilità con cui Lunardelli centra certe figure collaterali. Il seduttore ambientalista radicale, anarchico nelle passioni politiche e ancora di più in quelle private. Il tassista cileno (Alfredo Castro, attore-totem del cinema di Pablo Larrain), la cui complessità e il cui ambiguo background emergono a poco a poco, attraverso dettagli accumulati nel corso dalla narrazione fino a sfociare in una rivelazione agghiacciante. Il regista mostra di saper maneggiare molto bene il non detto, il sottotesto, l’implicito, il celato, montando un cinema dell’allusione e anche della minaccia alla Haneke non proprio molto praticato dalle nostre parti. È quanto mi ha più convinto di questo per molti versi promettente film. Lunardelli riesce a farci sentire il retroterra, e anche lo strato profondo, di violenza di una società apparentemente pacificata, ma che si porta ancora dietro e dentro le spaccature e anche la ferocia dei tempi post Allende, e che forse la violenza ce l’ha incorporata e in circolo come tossina ormai ineliminabile. Penso a scene come quella del conducente di autobus che tira fuori il fucile di fronte all’esterrefatto Loris, o a quelle squadre armate a guardia delle miniere a cielo aperto. La scelta omosessuale di Davide evita tutti i manierismi e i luogocomunismi del coming out e della sua celebrazione militare, ed è un altro segno più da apporre a Il mondo fino in fondo. Certo, anche in questo film abbiamo a che fare con l’ambientalismo ormai elevato a nuova, intoccabile e totemizzata religione laica (ma qualche ironia su certi fondamentalismi verdi e verdastri attenua il fastidio). Ne deriva il cedimento qua e là, e soprattutto nella parte finale, a un manieristico cinema di paesaggio con qualche caduta nel cattivo doumentarismo viaggistico, quello che accarezza natura e sfondi incontiminati con il tocco lussurioso e quasi orgasmico di un porn. Nonostante questi limiti, Il mondo fino in fondo lascia pensare nei suoi momenti migliori che possa esser nato un autore, anche se Lunardelli se ne sta schiscio e non osa più di tanto, preferendo mantenersi all’interno di una struttura narativa, e di un genere, che son quelli collaudati della commedia familiare, rinunciando a forzarli e portarli al punto di esplosione e rottura. E però la prudenza, e anche il senso dei limiti – soprattutto in un cinema come quello italiano dove spesso si abbonda in ambizioni mal fondate -, può essere una virtù.


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