“Il bianco e nero è come una struttura architettonica che rispecchia le fondamenta del nostro essere, del nostro sentire. Potremmo paragonarlo alle travi portanti di un edificio. Evoca l’essenza dell’esperienza vissuta. E questo è un aspetto di fondamentale importanza. Ma c’è di più: sul piano emotivo è, a mio parere, molto più intenso del colore. Non ne sono sicuro, ma credo che tragga la sua forza dalla nostra percettività visiva. Il colore si ferma all’apparenza delle cose. Può essere veramente bello, delicato, meraviglioso a suo modo, ma è totalmente diverso.”. E' questa la visione del fotografo Rodney Smith, la sua visione surrealista del mondo in bianco e nero che ci racconta, ci consente di guardare, attraverso il suo speciale inchiostro di luci, lambendo tutti i confini possibili tra mondo reale e irreale, tra le zone del conscio e dell'incoscio che la vita moderna avvicina, e sovrappone, sempre più.
Rodney Smith si pone dunque nel filone della fotografia surrealista moderna, e proprio come Breton, fondatore del movimento surrealista, è profondamente influenzato dalle opere di Freud; sogno e inconscio diventano i veri grandi protagonisti del surrealismo, nella fotografia così come le altre arti, passando per i bianchi e neri di Man Ray, le opere di Eugène Atget e George Brassaï, l'estetica sessuale di Lee Miller, le fusioni di corpo e ambiente di Francesca Woodman, per arrivare alle rielaborazioni e innovazioni di fotografi come Shōji Ueda e, appunto, di Rodney Smith, che come vedremo più avanti nelle loro opere condividono alcune visioni e archetipi marcatamente magrittiani.
Il padre di Rodney Smith fondò l'azienda di moda Anne Klein e la vita familiare si incentrava prettamente sulla moda. Ma Rodney Smith non volle mai entrare nelle logiche dell'industria della moda, tentato dalla ricerca dei significato più profondo delle cose e della realtà. Per questo motivo iniziò gli studi teologici presso l'Università della Virginia, continuando poi presso la Yale Divinity School dove si laureò in teologia. Fu proprio nel periodo di Yale che che Rodney Smith venne a contatto con la fotografia, che studiò con Walker Evans, che con i suoi scatti era riuscito a catturare la vita americana durante la depressione degli anni 20 e 30. Fu proprio Evans a far scoprire a Rodney Smith l’amore per la fotografia in bianco e nero. Ma è Smith stesso che racconta il suo incontro emotivo con il mondo della fotografia: “Visitai spesso grandi mostre presso il Museo di Arte Moderna di New York e mi resi conto che la fotografia avrebbe potuto diventare il mio modo per esprimere tutti i sentimenti che mi portavo dentro.”
Le opere di Smith cercano di catturare una bellezza che duri nel tempo, lontana dalle mode passeggere e temporanee, giocando con i nostri sensi, la razionalità, mettendola in discussione, in disparte, grazie alla presenza di correnti emotive oniriche che trovano corrispondenze nel nostro mondo inconscio, nel complesso immaginario prichico e emotivo che conteniamo. Smith nelle sue riflessioni mette spesso al centro il concetto di ricerca della bellezza.”Il 1800 fu il secolo dell'industria mineraria e un periodo nel quale l'umanità fu fortemente al centro dell'attenzione, ma nel quale l'arte rese omaggio alla bellezza. Oggi sembra che la cultura americana e occidentale siano radicate nell'indifferenza, nel distacco e nello squallore. Desidero invece che la gente guardi le cose belle, piacevoli e divertenti della vita.”
Rodney Smith lavora sempre con il minimo di attrezzatura necessaria: un treppiede e qualche macchina fotografica (solitamente Hasselblad). Raramente sono presenti lampade, preferisce lavorare principalmente con la luce a disposizione. I risultati vengono forniti sotto forma di stampa originali esclusive, mai come negativi o diapositive. E' profonda l'influenza di Walker Evans, come afferma Smith stesso“L'istruzione fu del tutto classica. Fotogrammo solo in bianco e nero e sempre con la luce a disposizione. Oggi lavoro allo stesso modo, utilizzo addirittura la stessa pellicola e le stesse macchine fotografiche.” Oltre a Evans, le principali fonti di ispirazione fotografica di Rodney Smith sono Eugene Smith, Robert Doisneau, Dorothea Lange, Jacques-Henri Lartigue e Henri Cartier-Bresson, ma senza dimenticare vecchi maestri della pittura come Raffaello, Rembrandt e Vermeer, proprio come le intuizioni di Magritte.
Le sue composizioni sono costruite sul mondo della simmetria e dell'equilibrio, che guidano i sensi dell'osservatore offrendo primitive consapevolezze, in un secondo momento è il soggetto a dialogare, suggerire strade nuove alla comprensione della realtà che ci circonda, nella nostra interazione con il mondo alla quale vengono tolte le maschere della convenzienza e dell'abitudine, dell' in e out, che secondo Smith rappresentano la catene dell'eternità della bellezza, della sua liberazione dalle mode e delle tendenze. E' facile ritrovare nelle fotografie di Smith il rifiuto del mondo famigliare nel quale ha vissuto, il suo subconscio è dunque liberato, consapevolmente, attraverso le sue opere.
Il surreale per sua definizione è una distesa senza limiti, un territorio tridimensionale dove passato e presente si fondono nel fantastico, nell’incertezza creativa sul futuro, nella tensione verso la bellezza ideale e la libertà dal tempo. Al di là dei singoli movimenti e scuole, la libertà che emerge dagli scatti di Smith possiede una grande forza psicologica, fisica e spaziale. Lo spazio è il centro da cui si dirigono i nostri sensi, come raggi guidati che ruotano continuamente, trovando prospettive inattese, emotive e dimensionali. I soggetti rappresentano le forme del tempo immobile, materializzato nelle figure umane, nelle traiettorie delle linee, nelle strade e nel cemento delle città, nei monocromatismi assoluti.
Le immagini di Smith sono fuori dal tempo e lontane dal qui e l’ora, insinuano dubbi sulla nostra consapevolezza del reale attraverso la rappresentazione del reale stesso, spostato di qualche grado e angolo, per arrivare a mostrare il mistero indefinibile delle cose, di noi stessi, in fondo. Queste dinamiche delle opere di Smith rendono evidente la profonda influenza di René Magritte, saboteur tranquille per eccellenza, e molte immagini sono esplicitamente ispirate al grande pittore (non a caso) surrealista. Se Magritte cerca di ascoltare il silenzio del mondo, e le sue opere comunicano ai nostri sensi una negazione della realtà, attraverso la dissoluzione dei riferimenti più comuni, Smith integra alle intuizioni di Magritte, e alle comuni aderenze con le tesi freudiane sulla memoria, la sua spontaneità dinamica che è un vero e proprio portale verso la bellezza immortale, una affermazione che ci porta verso una possibile definizione di surrealismo romantico
I labirinti dell'incoscio, i territori sconosciuti di Magritte sono stati fotografati da un'altro artista che si mostra vicino a Smith in questa archetipale comunanza con il grande pittore surrealista. E' il fotografo Shoji Ueda (1913-2000) a riportare Magritte nei deserti della negazione della realtà, nelle finzioni della memoria, attraverso i corpi nudi, mescolando elementi caratteristici della sua cultura. Le immagini che completano questa ultima parte dell'articolo mostrano le interconnessioni, convergenze e divergenze tra i mondi surreali di Magritte, Smith e Ueda.
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