Intro: “Ehi, ciao, quanto tempo. Ti chiamo per… sai sto vedendo un film stupendo, c’è un tizio solitario che lavora al comune di Londra e si cura dei funerali di chi non ha famigliari, gente sola…pensavo a noi, cioè a te, se ti andava di… non dico per forza a un funerale… anche solo da un’altra parte… ah!… però aspetta non... attaccare.”
Intermezzo trascurabile dal punto di vista del film: c’è una raccolta di saggi di Stephen Jay Gould, On Land, e in uno di questi si parte dal funerale di Marx, pare ci fossero solo nove persone (non è da questi particolari che si giudica un…) e una di queste fosse uno scienziato con il quale Marx nei suoi ultimi anni aveva stretto un legame. Ora non ricordo bene, ma è istruttivo perché all’epoca Marx aveva appoggiato la teoria di Darwin, sebbene piegandola alla sua visione ideologica, e in poche pagine Gould mostra come in fondo non è che Marx l’avesse poi capita così bene, cosa in sé comprensibile. Però è interessante perché Gould ricostruisce un poco il rapporto fra Marx e Darwin per quanto riguarda la ricostruzione che in parte è arrivata ai giorni nostri.
Still Life, di Uberto Pasolini, 2013, UK e Italia. Questo film credo abbia avuto un discreto seguito, premiato a Venezia, buone recensioni. Per me un vero gioiello, piccola e delicata sorpresa. Ne voglio parlare un po’ a fondo per cui avviso l’eventuale passante [SPOILER] Il protagonista, John May è una sorta di eroe in miniatura, un tipo davvero solitario che si occupa di una cosa alla quale nessuno di solito pensa se qualcuno non ti viene a dire che c’è un lavoro apposta. In breve è un impiegato del comune che si occupa di risalire ai parenti o amici di un defunto in seguito al decesso, quando il defunto a una prima ricerca non ha nessuno che se ne occupi. Nella prima parte l’incanto arriva dai modi di John May, dalla sua cura per i dettagli che mette nell’organizzare il funerale, anche quando è solo lui che vi assiste. Poi arriva il suo ultimo caso, dal momento che per dei tagli al personale e perché le sue ricerche scrupolose in fondo costano. In quest’ultima ricerca scopriamo particolari di vita di un uomo che nel film non vediamo mai: una sua vecchia compagna, la sua giovane e graziosa figlia che non lo vede da anni, da quando era in carcere; e la cosa curiosa è che già ne sappiamo più di questo tizio che di John May, che si porta addosso un velo di tristezza esile, pacata, sostenuta da musiche perfette (di Rachel Portman) e distratta da piccoli momenti buffi che rendono il film più leggero e godibile. Solo nel finale è concessa un po’ di commozione e la storia subisce un paio di colpi ad effetto che però non guastano, sebbene il primo sia amaro, beffardo. Magari rendono meno coerente il tutto, ma questi poi sono pensieri oziosi.