"Se David Mamet fosse stato presente al Duse di Genova fra il 15 e il 20 maggio, per assistere alla prima nazionale del suo testo “Il motore ad acqua”, si sarebbe certamente commosso e stupito: commosso perché quando le parole scritte sulla pagina prendono forma divenendo gesti veri, corpi veri, sguardi veri, voci vere, queste stesse parole finiscono per suonare nuove e diverse perfino all’autore che le ha immaginate e scelte prima di metterle su carta, risultando quindi a lui stesso quasi un miracolo di chiarezza e un segno di necessità; ma si sarebbe David Mamet anche stupito per l’efficace resa e la commossa lettura del suo testo (datato 1974 e ambientato a Chicago nel 1934) da parte di un gruppo di giovani attori italiani che ha interpretato il tutto con il piglio convinto di chi affronta la verità d’una attualissima testimonianza. Bravo il regista e tutti i suoi collaboratori (scenografia, costumi, disegno luci) a restituire questo sapore: in uno spazio ridotto (quello del palcoscenico), dove però si manifesta la suggestione di luoghi lontani, si fantasmizza quella di luoghi vicini e dove le luci d’impronta espressionistica, a volte costruttivista, giocano un ruolo fondamentale. In breve lo spettatore è messo in condizione d’orientarsi: se a quasi tutti gli attori è richiesto lo sforzo e l’abilità di rivestire doppi-tripli ruoli, anche allo spazio si chiede questa plasticità: l’interno di una casa è anche l’interno di un ufficio; il luogo della fabbrica è anche il laboratorio dell’inventore, o, con piccole modifiche, anche il banco d’un negozio, e così via…
Il regista si affida a sei attori: giocando sulle direzioni opposte o intersecate sulla scena, sulle diverse uscite e entrate, sugli incroci delle loro direzioni, sulle diagonali del loro percorso, questi sei attori (fra cui lo stesso regista) si “moltiplicano” e attraverso il ritmo serratissimo, che è la caratteristica dominante di tutta la rappresentazione, diventano “folla”, oppure gruppo, da cui si distaccano solitudini inquiete e ingenue di personaggi singoli ( l’inventore, sua sorella) o le personalità inquietanti di personaggi immagini del potere (l’avvocato, il legale, il poliziotto). Fondamentale risulta la scelta raffinata del colore cui si affida simbolicamente il compito di indicare la qualità dei comportamenti: bianco, nero e la gamma dei grigi, si sposano al rosso che entra prepotentemente nei piccoli oggetti del materiale plastico come soprattutto, ma non solo, i particolari dei vestiti, rendendo così visibile e indicando la presenza del pericolo, dell’inganno, della menzogna e della crudeltà. Significativamente solo il puro inventore del motore ad acqua non è segnato mai dal rosso e questo rende lo spettatore consapevole non solo della sua “diversità”, rispetto al sistema, ma anche dell’inevitabile sua fine, schiacciato da un ingranaggio che non perdona e che trova il modo di raggiungere sempre il suo scopo. Bellissima poi l’idea di utilizzare il blu (colore dell’acqua pura) solo una volta: per il grande foglio, dispiegato dall’inventore, su cui egli ha disegnato il progetto del suo motore.
La recitazione, sicura e naturale, è convincentemente allusiva (il teatro non deve forse prevalentemente far immaginare?).Così, per esempio, le telefonate sono rese con una collocazione nello spazio scelto per questo scopo, ma non è richiesto all’attore il gesto (banale e mimetico della realtà) della mano che sostiene la cornetta); mentre il lavoro in fabbrica (catena di montaggio) è brillantemente reso con un ritmato suono prodotto dalle mani di due operai cui si aggiunge, facendosi spazio fra quel suono, ritmato anch’esso, il loro parlato…
"Il motore ad acqua" è un piccolo capolavoro di energia, professionalità, passione e abilità. Per questo, augurare a questo spettacolo l’incontro con altri pubblici, dopo quello genovese, è un atto dovuto al teatro: che ha un gran bisogno di esistere e di rinnovarsi attraverso energie fresche e appassionatamente competenti come sono quelle che animano la COMPAGNIADEIDEMONI!" (flaro)