Dire banalità quando si parla di calcio è un rischio sempre a portata di mano. Se non si è banali, l’alternativa è essere ripetitivi. E una delle massime in voga in questo momento dipinge quello attuale come “il campionato degli allenatori”. Una frase di circostanza, neanche troppo fantasiosa, tipica dei primi scorci di stagione pallonara. Parafrasando un Giuseppe De Bellis di qualche tempo fa sulle pagine del Foglio, “il ritorno della teoria dell’uomo in panchina come elemento cardine del successo di una squadra coincide con l’arrivo di Mourinho” e oggi trova proseliti nei vari Conte, Mazzarri, Rafa Benitez. E soprattutto in Rudi Garcia. Conte, Mazzarri e Benitez hanno molti più elementi in comune di quanti loro stessi possano immaginare. Tutti e tre hanno preso squadre allo sbando portandole alla stabilità e al successo. Conte lo ha fatto con la Juventus, dominando due campionati di fila. Mazzarri ci è riuscito a Napoli, riportando i campani nel calcio che conta. Benitez ha risollevato lo scorso anno un Chelsea in gravi difficoltà post-sbornia da Champions League e adesso dovrà traghettare proprio il Napoli verso lidi più entusiasmanti. Dei tre, il vincente per antonomasia è Benitez, che però in Italia pagò lo scotto di approdare nel momento sbagliato e nella squadra sbagliata. L’Inter del triplete si sentiva troppo orfana di Mourinho per seguire i dettami del tecnico spagnolo. Conte vincente lo è diventato dopo una discreta fase di rodaggio. Alla Juventus ha trovato la sua dimensione, messa tuttavia in discussione (i più maligni sostengono sia il preambolo all’addio che si consumerà a fine campionato) da un mercato che non lo ha soddisfatto appieno nonostante l’arrivo di un campionissimo come Tevez e da qualche prova opaca in Europa. Mazzarri è invece l’uomo dei miracoli targati Reggina, Sampdoria e Napoli. Dove va, fa bene. E all’Inter lo hanno chiamato non a caso. Poteva andare alla Roma, ma come Allegri ha preferito declinare l’offerta di quello che appariva un progetto sconclusionato e ormai appassito dopo la batosta in Coppa Italia del 26 maggio contro gli acerrimi rivali della Lazio. Scocca così l’ora di Rudi Garcia. Questo francese dalle evidenti origini spagnole viene etichettato a fine luglio come terza, quarta se non quinta scelta della società giallorossa. Nessuno sa bene chi sia e cosa abbia concluso in carriera. Intanto con il Lille riuscì a ritardare lo strapotere del Psg vincendo la Ligue 1 nel 2011, ma in pochi se ne ricordano. Lui fa spallucce: “La cosa più importante non è essere la prima scelta, ma essere l’allenatore di una squadra”. Pochissimi giorni di ritiro e quasi si inimica la tifoseria, ancora imbestialita per la nefasta finale di Coppa: “Chi contesta è della Lazio”. Comincia il campionato. Una vittoria, due, poi tre. I predecessori le prime gare le steccavano tutte: “Ho impiegato mezza giornata per capire che ci vuole carattere per allenare la Roma”. Quando si presenta ai giornali in conferenza stampa a New York ancora necessita dell’interprete, all’inizio del campionato si reca davanti ai microfoni per le interviste di rito ostentando un italiano fluente. Vince la quarta – il derby (“i derby non si giocano, si vincono”) –, poi la quinta e la sesta: neppure la Roma scudettata di Capello osò tanto. Nel frattempo si scatena la Garcia-mania. I tifosi lo adorano, i giornalisti lo incalzano sugli obiettivi stagionali, lui vola basso e indica l’Europa quale bussola di orientamento. I media vanno a nozze con il personaggio. Lunghe interviste a lui e ai familiari. La sorella racconta di quando, bambino, studiava gli schemi di gioco con il Subbuteo. Gli amici di Lille, compreso l’immancabile pizzaiolo italiano trapiantato in Francia, lo idolatrano. Arriva la settima giornata, quella che anticipa la seconda sosta per la Nazionale. È Inter contro Roma, Mazzarri contro Garcia, ciò che sarebbe potuto essere contro ciò che è. Al tecnico giallorosso basta una frazione di gara – zero a tre per gli ospiti all’intervallo – per liquidare la pratica. Tre-per-sette-ventuno e la Roma resta saldamente al comando della classifica, con Napoli e Juve che inseguono a due lunghezze. È il campionato degli allenatori, dicono. Conte, Mazzarri, Rafa Benitez. E, soprattutto, Rudi Garcia. Quello che più assomiglia a Mourinho, cominciano a mormorare.
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