Dopo gli arresti all’interno della cosca Pesce di Rosarno sembra che il muro di omertà, tipico della malavita calabrese stia cedendo piano piano.
Ed è dal mondo delle donne che si apre questo varco. Un varco che fa paura alle ‘ndrine. E’ questo il riassunto di quello che ha detto il procuratore aggiunto della Dda di Reggio Calabria Michele Prestipino durante la conferenza stampa.
Per questo motivo, ha sottolineato il magistrato, la famiglia della Cacciola ha esercitato su di lei una forte pressione affinchè ritrattasse le dichiarazioni. Anche sua cugina, Giuseppina Pesce, ha rilasciato diverse dichiarazioni utili all'indagine che sono state utilizzate, insieme a quella della Cacciola, per gli arresti e i fermi eseguiti questa mattina.
Ma l’input per l’indagine l’ha dato anche un pizzino intercettato al boss Francesco Pesce, 34 anni detto “testuni”, arrestato in un bunker il 9 Agosto 2011 dopo un anno e mezzo di latitanza.
E’ fine ottobre quando viene intercettato Saverio Marafioti (colui che preparava i bunker per la cosca), uno dei fermati di oggi che dice riferendosi al boss: “A quel cazzone gli hanno trovato un biglietto, mica mio cognato!... Arresteranno a tutti a Rosarno!...Associazione!!”. Nel biglietto sequestrato a Pesce erano contenute quattro direttive.
Nella prima c’erano dei nomi e un messaggio in codice , che stabiliva i nuovi ruoli nella cosca: “Rocco Messina, Pino Rospo, Muzzupappa Ninaredo, Franco Tocco, Danilo, Paolo Danilo, fiore per mio fratello”.
Per gli investigatori il messaggio è chiaro: il potere passa nelle mani del fratello Giuseppe, unico maschio libero della famiglia e latitante dal 2010.
Gli altri nomi sono i personaggi che dovevano affiancarlo, come uomini fidati. Tutti riconosciuti in : Rocco Messina, Giuseppe Alviano detto «u rospu»; Francescantonio Muzzupappa; Francesco Antonio Tocco; Danilo D'Amico e Paolo Daniele.
I pizzini, gioia e dolore dei boss mafiosi, ‘ndranghetisti e camorristi. Da Provenzano in poi, questo metodo di comunicazione è stato usato ed abusato tanto da essere facilmente intercettato.
E’ stato per merito di un agente della polizia penitenziaria se, anche questa volta, il foglietto arrotolato è stata la condanna per la cosca Pesce.
Infatti, mentre controllava i detenuti, ha notato che il boss di Rosarno passava ad un altro compagno di prigione, di nascosto, un foglietto affinchè lo consegnasse ai suoi familiari.
Qualche giorno dopo l’auto dell’agente è stata incendiata.
Il muro di omertà sulla ‘ndrangheta si può rompere.
Oggi, insieme alle indagini sempre più dettagliate, il coraggio delle donne è l’arma in più.