[Malaria - Paola Attanasio]
L’apertura del Muse a Trento è stata una bella soddisfazione per Michele Lanzingher, l’utopista archeologo che del Museo delle Scienze fu l’ideatore, il tenace sostenitore ed anche il realizzatore. Su progetto di Renzo Piano e con i soldi della PAT, s’intende. Molti hanno già scritto che sarà una cosa importante per Trento e il Trentino e non solo per la cultura; altri temono che sarà un mezzo flop come è stato il Mart di Rovereto non appena sono venuti meno i cospicui fondi per i prestiti e assicurazione delle opere che i grandi musei immettono nel circuito mondiale per finanziarsi. Staremo a vedere, nella convinzione che dipenderà più da Lanzingher e collaboratori che dai fondi, comunque annunciati in calo. Sappiamo che le idee camminano sulle gambe degli uomini (Nenni) più che con i soldi in mano politici. I nostri politici, quelli illuminati della prima ora, avevano creduto ad una sfornata di archeologi come Gianni Ciurletti, Franco Marzatico e appunto Lanzingher che avevano progetti e li hanno finanziati. I risultati si sono visti. I progetti, appunto. Con le disponibilità dell’Autonomia il problema è sempre stato quello della mancanza di progettualità, mai quello dei finanziamenti. Anche in recessione 70 milioni per il Muse e oggi altri 100 per sostenere imprese bisognose di rilancio si sono trovati senza tanti clamori. Altri ancora, troppi, ne sono stati assegnati ad imprenditori rapaci in cambio di generiche assicurazioni sul mantenimento dei posti di lavoro.
Anche per il turbolento mondo del vino, prima che una pax da sfinimento calmasse gli animi, c’era la disponibilità di 30 milioni pubblici in cambio di intese comuni che non si sono trovate. Così un’ingente somma che avrebbe cambiato i connotati del settore s’è persa e non si sa chi ringraziare, o meglio, si saprebbe, ma non è carino ricordarlo. Evidentemente va bene così, con azioni estemporanee di piccolo cabotaggio, come il trasferire parte dei finanziamenti dal Vinitaly prossimo venturo alla ProWein. Niente di organico e supportato da un minimo di visione. E si che fra Provincia, Consorzio Vini, San Michele, Federcoop e Vignaioli di gente capace ce ne sarebbe. Che ci sia un grande vecchio che pensa per tutti?
Per chi osserva da fuori le alternative sono di unirsi al coro di chi applaude e sono già troppi, oppure disinteressarsi e tacere e sono la maggioranza o, da ultimo, provare a ragionare rischiando di sbagliare e siamo in pochini. Per ben che vada si passa per rompiscatole che vedono il bicchiere sempre mezzo vuoto. Ecco un paio di esempi freschi di stampa e mi domando: come si fa a godere appieno della performance al Muse di un singolo operatore come Endrici senza pensare all’occasione persa – speriamo per poco – per il TRENTO (quello DOC di 40 produttori) che ha sicuramente perso l’occasione dell’anno per farsi conoscere? Certo, bisognava muoversi per tempo e, ancora una volta, sulla base di un progetto territoriale sul tipo di quello strategico appena licenziato dagli amici di Franciacorta. Occupare l’area di comunicazione in casa propria dovrebbe, infatti, essere imperativo categorico, altrimenti non resta che mugugnare sul Prosecco che scorre a fiumi anche in città come Trento. E che dire – altrimenti passa pure questo nel dimenticatoio – del flop della quota regionale per la promozione di cui al piano nazionale di sostegno dell’Ocm che vede la provincia di Trento maglia nera (con Puglia e Sicilia) per non aver utilizzato investimenti previsti per un milione di Euro, come riporta il Corriere Vinicolo di metà luglio? Dire dei successi e tacere le magagne è tattica accettabile sapendo che in un piano strategico non tutte le ciambelle possono riuscire col buco, ma se una strategia non c’è, come non c’è un obiettivo dichiarato, come si fa a vedere il bicchiere mezzo pieno?
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