Il racconto della visita al Museo della Geotermia di Larderello lo inizio con una citazione, tratta dal romanzo di Gabriele D'Annunzio, pubblicato nel 1910, dal titolo “Forse che si forse che no”, le cui vicende dei protagonisti attraversano i luoghi attorno a Larderello.
Che l'autore presenta così:
"... L'odore sulfureo, la nebbia del bollore, il sibilo e il rugghio annunziarono la valle infernale."
Per poi proseguire, qualche riga dopo:
"... Un fragore di vulcano rimbombava per tutta la pendice del monte. Colpi improvvisi di vento abbattevano i nugoli di vapore, li sparpagliavano, li spazzavano, scoprendo i bulicami bui, i cumuli di ceneraccio e di sassi, i getti d'acqua e di fango. I nugoli si riaddensavano, palpitavano intorno alle buche, si laceravano ai castelli di travi, alle gigantesche trivelle, ai tubi di ferro per ovunque diramati ora proni ora irti in intrichi rugginosi e ruggenti.
- È l'inferno.
Giravano per la lorda pozza. L'acqua simile a una broda bigia viscosa untuosa bolliva levando bolle simili a vesciche involute di belletta, che a ogni scoppio schizzavano falde di fango contro le ripe tinte di giallo e di sanguigno. Bolliva e soffiava come se per entro vi salisse l’imperto e il gorgoglio dei dannati fitti nel limo, come se nel fondo vi s’agitasse la mischia perpetua degli iracondi…”"
A leggere la descrizione che fa D'Annunzio, si resta stupiti.
Se poi si continua con la lettura, c'è da non credere che si trattasse di questo luogo, più o meno, proprio un secolo fa:
"... Di tratto in tratto una bolla vi si gonfiava smisuratamente, con la violenza di una scaturigine: pareva fosse per rompersi e per iscagliare tra spruzzi e schiume un groppo di genti fangose che a brano a brano si troncassero e dilacerassero. Un getto di vapore con un sibilo assordante vinceva ogni altro strepito. Il fetore del solfo riempiva la vasta nebbia estuante.
- È l'inferno. Dove sono? si sono perduti?
Giravano di proda in proda, di bulicame in bulicame, e non udivano le loro parole nel fragore che le copriva, nel vento che le rapiva, nel fumo che le affiochiva. Vacillavano su le pomici nere e rosse, su l'alberese calcinato, su i crepacci del loto misto di tritumi e di croste. Non un filo d'erba non uno sterpo non uno stecco su le ripe dolenti. Il suolo sgrigliava sfarinandosi, sgretolava tritandosi sotto i piedi come i rosticci del ferro colati dalle fornaci, come la carbonella cenerosa avanzata dai forni."
Dobbiamo quindi pensare che la valle sotto a Montecerboli, nel periodo tra la fine dell'800 e l'inizio del secolo scorso, il panorama doveva essere piuttosto particolare.
Non è che non lo sia anche oggi. Intrigato di condotte luccicanti e costellato di sbuffi di vapore. Con installazioni industriali, parte delle quali già archeologia.
Il Museo della Geotermia di Larderello, fondato alla fine degli anni cinquanta, si trova al piano terra del Palazzo de' Larderel, recentemente ristrutturato.
L'esposizione museale racconta la storia dell'energia geotermica illustrando le tecniche ricerca e perforazione tramite modelli.
È un museo fortemente multimediale particolarmente adatto per comprendere il fenomeno geotermico ed i suoi sviluppi industriali e che costituisce una buona introduzione alla visita di questo territorio.
Il paese, Larderello, prende nome da François Jacques de Larderel, industriale livornese di origine francese che intorno al 1827 perfezionò l'estrazione dell'acido borico dai fanghi dei cosiddetti "lagoni", già iniziata con metodi poco efficienti nel 1818.
Fu il processo di disboscamento innescato dall'utilizzo crescente di legna a indurre de Larderel a sfruttare direttamente il vapore naturale allo scopo di far evaporare l'acqua per ricavarne l'acido borico.
Quando D'Annunzio, nel 1910, descrive la valle di Montecerboli, Larderello è stato da poco il luogo dove viene realizzata una grande intuizione del principe Piero Ginori-Conti, che il 4 luglio 1904, riuscì ad accendere cinque lampadine grazie alla trasformazione in energia elettrica della forza del vapore prelevato dal sottosuolo.
Il Principe Piero Ginori-Conti nel 1904, riuscì mediante un esperimento a trasformare l’energia termodinamica del vapore in energia elettrica accendendo le prime cinque lampadine, utilizzando un motore alternativo da quasi un cavallo accoppiato ad una dinamo.
Lo stesso che si vede nella foto sopra.
Questo evento costituì una vera e propria rivoluzione, che si sviluppò a partire dall'anno successivo, con l'installazione di un motore di tipo "Cail" da 40 CV accoppiato ad una dinamo di 20 KW.
Questo impianto fornì per molti anni l'energia elettrica alla fabbrica ed ai primi motori elettrici di modesta potenza.
Sempre nel 1095, venne assunto dalla ditta l'ing. Bringhetti che oltre a sviluppare la parte chimica partecipò alla progettazione e alla realizzazione della prima centrale geotermoelettrica di Larderello.
Così, nel 1913 si raggiunse un importantissimo traguardo, venne di fatto collaudato il primo turboalternatore alimentato a vapore da 250 KW, vanto della officine Tosi.
Le notizie sui fenomeni geotermici dell'area risalgono all’antichità.
Nella Tabula Itineraria Peutingeriana, una carta militare romana del III secolo d. C., sono indicati due importanti stabilimenti termali, le Aquas Volaternas e le Aque Populanie, con in posizione mediana un lago a forma circolare che probabilmente rappresenta la zona boracifera dove erano presenti numerosi laghetti bollenti.
Le Acquas Volaternas sono da identificarsi con il Bagno a Morbo, presso Larderello, che ebbe grande importanza nel medioevo e nel rinascimento, per le proprietà medicamentose delle acque.
Uno scavo archeologico, nella zona di Sasso Pisano, ha riportato alla luce un complesso termale etrusco e romano, detto Bagno del Re, che potrebbe essere riconducibile alle antiche Acque Populanie.