Il Museo di Reggio Calabria non è ancora pronto

Creato il 31 luglio 2013 da Plabo @PaolaBottero

 le fanfare sulla riapertura del museo

 ciò che mi sono persa  città distratta o città distrutta?  miti contemporanei  il comunicato post serata

Ho iniziato a pregustarmi Iaia Forte sullo Stretto da quando, più di un mese fa, ho saputo della calendarizzazione. L’attesa è diventata ancora più gustosa nel sapere che avrei potuto vedere in anteprima il Museo della Magna Grecia: sarebbe stato aperto appositamente per ospitare l’evento.

Ieri sera c’ero anche io, in fila davanti ai cancelli di piazza de Nava a Reggio Calabria. Eravamo in tanti, in quasi religioso silenzio, ad attendere di entrare. Ingresso su prenotazione. Gratuito. Serata calda ma non afosa. Premesse più che ottime: eravamo davvero contenti di essere lì. Ancora più contenti di ciò che ci aspettava. Con una gratitudine immensa nei confronti di chi stava rendendolo possibile.

Finalmente i cancelli si sono aperti. Ho osservato il lento defluire, i muri lindi che si mangiavano, uno dopo l’altro, i tanti spettatori in attesa come me: non sono abituata a spingere. Non sono abituata a infilarmi davanti agli altri. Ho aspettato buona buona il mio turno, rivedendo amici e condividendo l’attesa. E questo è stato il mio errore, forse.

Mi sono quasi emozionata a entrare in questa nuova struttura, che ha cancellato ciò che ricordavo del vecchio museo. Minimal, con luci che enfatizzavano i bianchi e gli antracite delle pareti e dei pavimenti. Il lungo corridoio asettico. Ho immaginato cosa sarà quando sarà aperto. Mi è piaciuto. In fondo al percorso guidato, la nostra meta. Una sala-corridoio. Lunga. Terribilmente lunga. E sedie, tante sedie. In tinta anche loro, forse per caso.

In fondo, laggiù in fondo, davanti alla vetrata che cerca il mare, i proiettori, gli spot, i sagomatori, e quanto necessario per trovare le luci giuste sul… palco? No. Sul pavimento. A metà corridoio la consolle della regia. Le casse. Dietro, molto dietro, altre file di sedie. Le uniche vuote. Ho temuto prima di sedermi che qualcosa non avrebbe funzionato. Ho fatto una visita ai bagni – belli e minimal, anch’essi – per cacciare la sensazione di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Infine, buio in sala. Un puntino laggiù ha presentato la serata. Brevemente. Ma non saprei dire come: tra il brusio intorno e la potenza minima dell’audio, alla mia fila (ne avevo un’altra decina dietro di me) è arrivato solo il sospetto che laggiù fosse successo qualcosa.

Devono regolare i volumi, mi sono detta, dispiaciuta per non aver potuto cogliere il senso delle parole mute. Ma era il tempo dell’entrata in scena di Iaia. Altro non importava.

Mi ero divorata le recensioni dello spettacolo. Avevo anche visto la trasformazione maschile dell’attrice in Tony Pagoda il cinico, cocainomane e maschilista, andata in scena a Ravello il 20 agosto. E ciò che ho visto in rete è tutto ciò che ho visto. Purtroppo.

Il puntino laggiù in fondo era la parte alta del viso (i capelli, più che altro: attendo le foto della serata per scoprire gli abiti di scena) di Iaia. Tutto il resto erano le nuche di chi, più fortunato – e veloce – di me, aveva occupato le file davanti. Il rumore che arrivava aveva nulla a che fare con la voce chiara e “Forte” della grande Iaia, mescolata da subito alle lamentele di chi, cercando invano un varco per gli occhi, si chiedeva perché non potessero essere soddisfatte almeno le orecchie.

Non ho saputo aspettare. Sarà l’età, che mi ha ovattato l’udito e appannato la vista. Sarà che amo troppo il teatro per potermi accontentare, anche quando mi viene offerto gratuitamente. Sarà che sono una nemica di Reggio e non sopporto le occasioni sprecate. Non sopporto che la smania di chi ci governa nel far figurare agibile e “aperta” una struttura pubblica così importante cozzi con l’organizzazione di un evento di così alto livello, rendendo sempre più difficile ogni tentativo di divulgare cultura. Di quella alta, con la C maiuscola.
Mi sono alzata quasi subito, per ritornare nel caos estivo del Lungomare.

“Hanno tutti ragione” di Paolo Sorrentino rimane una frase sospesa, più che il titolo di uno spettacolo che volevo, fortissimamente volevo, godermi. Aspetto le recensioni, i comunicati e – se ci sono – i video di quello che è successo ieri sera nel Museo della Magna Grecia. Magari mi saranno sufficienti per pensare che sì, hanno ragione loro. E che Iaia continua a chiamarsi Iaia, ed è sbagliato anagrammarla in Ai(h)ai(h). [scirocconews]


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