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Il Nabucco scaligero. Un deprimente esempio di miopia storica

Creato il 01 marzo 2013 da Alessandraz @RedazioneDiario

Pubblicato da Francesca Pegoraro

Ancora una volta gli allestimenti scaligeri fanno discutere. Sì perché dopo le polemiche sul nuovo Lohengrin (di cui ho parlato sul sito di Speechless magazine), anche la messa in scena del Nabucco non convince. Se, infatti, assolutamente nulla, se non lodi, può essere detto per quanto concerne la direzione e l’esecuzione musicale, molto invece deve essere detto sulla regia e specificatamente per quanto concerne la scenografia e i costumi

Il Nabucco scaligero. Un deprimente esempio di miopia storica
È proprio da questi ultimi che vorrei iniziare la mia riflessione perché rappresentano decisamente e senza ombra di dubbio l’aspetto peggiore di questa rappresentazione. In ossequio a una tradizione invalsa nei teatri ormai da molti anni e che vede registi, costumisti e scenografi gareggiare assurdamente per stabilire chi fra loro riesca a rendere più moderno l’allestimento, dimenticandosi completamente dell’esistenza di un concetto che si chiama “contesto storico” e che sarebbe opportuno e auspicabile rispettare per ogni opera la costumista Alison Chitty, ovviamente con il benestare del regista Daniele Abbado (figlio del ben più giustamente e meritatamente famoso direttore Claudio Abbado), ha pensato bene di “ammantare” cantanti e coro con degli autentici vestiti stile anni quaranta. Tale scelta è stata motivata dalla stessa Chitty con la volontà di astrarre l’opera da qualsiasi contesto storico specifico, per avvicinarla allo spettatore contemporaneo favorendo l’immedesimazione. Secondo la stessa, infatti, usare dei costumi “storici” avrebbe distratto lo spettatore, mentre l’uso di abiti contemporanei consente di concentrare l’attenzione sul messaggio dell’opera. 
Il Nabucco scaligero. Un deprimente esempio di miopia storica
Ammettendo pure che ciò sia vero, occorrerebbe ricordare però alla Chitty e, non dimentichiamocelo mai, ad Abbado con lei, che dei vestiti in stile anni quaranta non sono ormai più considerabili come contemporanei, anzi la loro apparizione in scena orienta fortemente l’immaginario dello spettatore verso uno specifico periodo storico, specialmente se la storia che si sta rappresentando narra la deportazione del popolo ebraico. A questo punto direi che non ci vuole un genio per capire che la prima cosa a cui pensa chi assiste allo spettacolo, sia assolutamente e inderogabilmente la Seconda guerra mondiale e la Shoa! E questo lo spettatore lo continuerà a pensare per tutto il resto della rappresentazione, con buona pace delle dichiarazioni di poetica di Abbado e della Chitty, che affermano in modo assoluto di non aver avuto alcuna intenzione di alludere all’Olocausto. Intendiamoci, l’interpretazione sarebbe assolutamente legittima, e in un certo senso anche spontanea, se non si rendesse assolutamente fuori luogo in riferimento alla specifica opera di cui stiamo parlando: Nabucco l’opera che con il suo Va’ pensiero ha dato voce alle sofferenze e alle aspirazioni di milioni di italiani in lotta per la libertà, l’opera che a buon diritto può essere considerata il nostro primo inno nazionale cantato dai nostri antenati in spregio ai soldati austriaci: stiamo parlando delle radici e del cuore della nostra nazione, stiamo parlando di qualcosa che deve essere rispettato e preservato così come la storia ce l’ha consegnato, perché detiene un valore simbolico che va ben al di là e che, specialmente in questi tempi di crisi, sempre più l’Italia a bisogno di tener presente. Mettere a tacere il ruolo che il Nabucco ha avuto nel nostro Risorgimento, equivale a violentarlo, per non parlare del tradimento compiuto verso le migliaia di Italiani, fra cui bambini e ragazzi giovanissimi di soli 12-15 anni, che nel Risorgimento sono morti per garantirci la libertà, valore che oggi è spesso così mal interpretato. Ma allo spregio della storia e dei suoi simboli, la scelta fatta dalla Chitty e da Abbado arreca all’opera un altro danno. Uniformando anche nei colori i costumi di tutti i cantanti, vengono, infatti, abolite le differenze fra Ebrei e Assiri, rendendo a tratti confusa la narrazione per chi non sia un conoscitore dell’opera.    Diverso è invece il caso della scenografia che, seppur anch’essa assolutamente essenziale, simbolica e non realistica, sempre questo in ossequio alla stessa tradizione cui prima accennavo, ha invece il pregio di evocare sinteticamente, ma molto efficacemente i sentimenti messi in scena (eccezion fatta, si intende, per quegli orribili ammassi di rottame che compaiono nel terzo atto e non solo, che dovrebbero rappresentare gli idoli assiri, ma che fanno pensare solo a una discarica e che lo spettatore, molto generosamente, decide di ignorare non appena apparsi in scena, per non vedersi costretto ad abbandonare la sala). Complice di questa capacità sono sicuramente le video proiezioni di Luca Scarzella, suggestive, efficacissime e, queste sì, esempio di innovazione artistica positiva che non deprime l’allestimento di un’opera, bensì lo implementa di molto. Molto opportuna è parsa poi la scelta di “isolare” il coro nel momento fatidico di Va’ pensiero, eliminando le scenografie e polarizzando la luce solo di esso.
Il Nabucco scaligero. Un deprimente esempio di miopia storica
Una nota a parte deve essere fatta per lo straordinario ed eccezionale Leo Nucci che ha dato di Nabucco un’interpretazione non solo musicalmente incredibile, ma anche drammaticamente efficacissima, riuscendo a rappresentare perfettamente la parabola esistenziale e psicologica di questo incredibile personaggio. Nucci, in fortissimo contrasto con la generale staticità e scarsa presenza drammatica che generalmente caratterizza i cantanti lirici, anche per oggettive necessità musicali, ha mostrato una gestualità e una mimica così flessibili e modellabili sul personaggio, da far sorgere spontaneo il paragone con grandi attori del teatro classico del calibro di Salvo Randone. Ottima del resto anche la performance di Liudmyla Monastyrska nei panni di Abigaille. In conclusione, riflettendo su quanto visto, mi viene da pensare che per fortuna alle spalle dell’allestimento scaligero c'è sempre la partitura verdiana con le sue note, i suoi colori e i suoi sentimenti e per fortuna c’è anche quell’orchestra, quel coro e quei cantanti. Questi sono gli unici mezzi che la nave ha per salvarsi dal naufragio, salvataggio che deve compiere da sola perché non può contare sul suo capitano-regista. Questo Nabucco è da ascoltare, ma assolutamente non da guardare se non fosse, ripetiamo, per Nucci e la Monastyrska.


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