2009: Das Weisse Band di Michael Haneke
Da molti paragonato a Bergman, a Dreyer, al migliore Clouzot… il film però non ha persuaso completamente tutta la critica, dividendola come sempre accade nei confronti delle opere del regista austriaco:
“…il distacco apparente e l’intellettualizzazione che sono marchi di fabbrica di M.H. diventano in questo caso più che in altri barriere che ostacolano l’adesione emotiva dello spettatore con quanto accade sullo schermo” (Comingsoon), “…il film di Michael Haneke è drammaturgicamente efficacissimo e intellettualmente potente nella metafora del futuro della Germania nazista che va a rappresentare” (Movieplayer), “Gelido e tagliente come la lama di un coltello, Haneke va ancora una volta a fondo nelle viscere delle nostre menti, restituendoci un film meno accattivante dei suoi precedenti, ma se possibile ancora più spietato” (Liberazione), “L’atmosfera è inquietante, ma siamo lontani dalle provocazioni dei precedenti film” (Avvenire), “…film duro e poetico” (La Stampa), “…la freddezza intellettuale della forma, pur superba, rischia di confutarne la presa emotiva” (Cinematografo), “Das weiße Band si guarda con agitazione e si fa ricordare con pure maggiore inquietudine. Rimane stampato nella memoria. E’ la prova che il film ha raggiunto il suo scopo” (El Pais).
“Autore controcorrente, spiazzante per la violenza estrema dei suoi film e sorprendente per l’originalità delle storie che racconta”, così Nicoletta Dose scrive di Michael Haneke, il regista che “o si ama o si odia” (Isabelle Huppert) e a cui dobbiamo due complessi (e bellissimi) film come La pianista e Niente da nascondere.
Il nastro bianco è il suo ultimo lavoro e ha trionfato (non senza polemiche) a Cannes nel 2009.
Una violenta accusa nei confronti del “sadismo dei puritani” (Roberto Nepoti), un raggelante e tragico campionario di violenze fisiche e mentali, un desolante e drammatico ritratto di un mondo assolutamente privo di calore umano (in cui l’autoritarismo e il sopruso la fanno da padroni) destinato inevitabilmente a trasformarsi -di lì a poco- da ordine repressivo a orrore nazista.
Asciutto e sobrio, cupo e angosciante, privo di commento sonoro e impreziosito da una fotografia in bianco e nero quanto mai raffinata, statico ma assolutamente non noioso, Il nastro bianco cattura massimamente la nostra attenzione con l’atmosfera di tensione e di malessere che prodigiosamente riesce a creare. Un film inquietante che pone tanti interrogativi sull’essere umano, sulla sua natura che -sembra dirci il regista- è portata al male assoluto. Un film scomodo, un grande film.
p.s.
da plauso incondizionato i numerosi interpreti, adulti e non.
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