Si chiude un anno ricco di avvenimenti politici.
Su tutti, come appare evidente, il 2012 si ricorderà per la caduta del governo Berlusconi che con sé ha sancito la fine di un ventennio politico.
Il Paese si è risvegliato più povero ed antichi e nuovi problemi si sono affacciati all’orizzonte, costringendo la riscrittura dell’agenda delle riforme politiche.
L’ultimo scorcio della legislatura, peraltro terminata anticipatamente a causa della fine prematura dell’attività del governo tecnico, è stato caratterizzato dall’insediamento di Mario Monti nel ruolo di Presidente del Consiglio. Il compito era difficile e le riforme da attuare numerose e tutte di vitale importanza per la sopravvivenza dell’Italia.
I cambiamenti più importanti, anche dal punto di vista della portata ideologica, sono stati sostanzialmente due, quelli in tema di riforma pensionistica e quelli relativi alla modifica dell’art. 18 e del mercato del lavoro.
Nel primo caso, tuttavia, la razionale ed aritmetica freddezza della riscrittura tecnica non ha lasciato spazio ad una visione solidale ed umana verso chi, come nel caso degli “esodati”, si è ritrovato senza le guarentigie derivanti o da un posto di lavoro sicuro o dalle coperture garantite dagli ammortizzatori sociali. Nel secondo, i dati dimostrano che già nei primi sei mesi dalla introduzione di alcune novità in tema di contratti, la precarietà è sembrata crescere a dispetto di una stabilizzazione generale della occupazione.
Sul piano internazionale Monti ha ridato credibilità al Paese davanti ai partner europei e mondiali ed agli operatori del mercato. Non è un dato trascurabile ma tuttavia non è sufficiente poiché l’Italia continua a soffrire di alcuni mali sociali che ne evidenziano la arretratezza nella ricerca, nello sviluppo, nella crescita e nella poca attenzione nel mantenimento in sicurezza del sistema dell’istruzione e della sanità.
Il ventennio berlusconiano ha in gran parte contribuito alla disgregazione di alcuni valori fondanti e costituenti le basi di una democrazia moderna ed internazionale.
Il vuoto lasciato non sarà facilmente colmabile né in termini di alternative all’altezza né sotto l’aspetto temporale: ci vorrà tempo e sacrificio accompagnato da personalità capaci di parlare al Paese in modo chiaro e di trovare soluzioni eque.
Il tema dell’equità è stato trascurato. Uno dei principali nodi relativi alla crisi mondiale attualmente in atto è il divario nelle possibilità e nelle aspettative tra i ricchi ed i nuovi poveri. E’ scomparsa, o è in grave agonia, la classe media anche a causa delle politiche bancarie che hanno stretto i cordoni della borse non erogando quasi più i finanziamenti alle famiglie ed alle imprese.
Vi è poi il tema del debito pubblico che lascia spazi ad ampie riflessioni. Se, certamente, lo spread non è un dato astratto frutto della campagna speculativa e deformante della politica internazionale, è altrettanto vero che il debito pubblico potrebbe essere “spacchettato”, distinguendosi le porzioni in mano ai creditori stranieri e la residuale frazione interna. Si pensi alle quote in possesso degli investitori esteri ( 11% ), le banche estere ( 12, 3%), gli investitori asiatici ( 6% ) ed i gruppi assicurativi esteri ed i fondi europei ( 14, 6% ). Si parla di quasi il 45% del debito totale esportato oltre i confini nazionali e gestito da creditori stranieri. Non sarebbe irreale ipotizzare nuovi piani di regolamentazione e gestione di questa parte del debito per garantire una operazione di rinegoziazione, al netto delle problematiche legate al fatto che la titolarità del debito è in euro ed ad un ritorno, più o meno attendibile, alla moneta nazionale.
Non si levano in tal senso voci di proposta dai nascenti gruppi o liste politiche che in questi mesi stanno vedendo la luce e che, a breve, popoleranno il nuovo proscenio politico.
Tramontata la seconda repubblica, dovrà crescere e maturare anche un nuovo modo di proporre la comunicazione, basata su un dialogo aperto e chiaro con i cittadini: noti i problemi da affrontare, altrettanto evidenti dovranno essere i sacrifici da condividere e la volontà della classe dirigente e politica di eliminare gli sprechi e relegare nel recinto di un’epoca superata la deformante ondata di classismo, di predilezione per i privilegi, i nepotismi ed i familismi che hanno frenato la crescita e fatto arretrare culturalmente la nazione.
Siamo all’inizio di un nuovo periodo che, se sarà gestito con ritrovata saggezza e capacità di guardare a confini più illuminanti rispetto a quelli a cui ci hanno abituato, garantirà all’Italia la possibilità di sperare nuovamente in un progetto di vita.
Cristian Curella