Il Nocciolo della Questione Greca-Chi Guadagna e Chi Perde

Creato il 11 marzo 2012 da Tnepd

Di FunnyKing
Rischio Calcolato

Pubblico con piacere la traduzione di un articolo apparso sul grande e storico sito del The Daily Reckoning. Gira che ti rigira il problema di tutto quanto è sempre e solo uno: quella collusione che aveva trovato nella riserva frazionaria e nel denaro “fiat” la pietra filosofale, si rinnova sul caso greco e punta adesso a toglierci tutto quanto ci è rimasto.

articolo originale tratto da USEMLAB

Oggi parleremo nuovamente di un argomento dibattuto fino alla nausea: la crisi Greca. Se riuscirete a sopportare la lettura di questo ultimo articolo potreste finalmente capire una volta per tutte il nocciolo della questione, che in fondo è molto semplice: tutto ciò su cui si discute da mesi ha poco e nulla a che vedere con il debito greco in quanto tale. La questione riguarda invece la sopravvivenza di un sistema corrotto basato sul debito e su un potere statale che non conosce più limiti.

Riflettiamo sul seguente punto: non è strano che tutta l’Europa venga messa in ginocchio da un paese tanto minuscolo e insignificante come la Grecia? Il PIL greco è appena il 2,4% del PIL europeo. In termini economici, la Grecia non ha alcuna rilevanza. La mancanza di crescita o di competitività economica della Grecia non può essere un fattore in grado di distruggere l’esperimento della moneta unica. Eppure, la Grecia evidentemente un peso ce l’ha, altrimenti i mercati finanziari europei non avrebbero festeggiato nuovamente anche l’ultimo salvataggio da 130 miliardi.

Ecco quindi la nostra domanda: Perché le finanze greche hanno così tanta importanza anche al di fuori della Grecia? Se si escludono le cose ovvie che non contano, rimarrà tutto quanto il resto o, come Sherlock Holmes amava dire, “quando hai eliminato quello è impossibile, ciò che rimane, per quanto improbabile, deve essere la verità.”

Per prima cosa, vediamo allora perché le spiegazioni che vengono fornite per giustificare l’importanza del caso greco siano in realtà insostenibili. Prendiamo la questione della riduzione del debito. Secondo l’accordo raggiunto si dovrebbe riuscire a ridurre il debito greco al 120% del PIL entro il 2020. Per l’FMI tale livello sarebbe sostenibile. Ebbene nel mondo del buon senso questa sarebbe una barzelletta: un piano per ridurre il debito greco al 120% del PIL … TRA OTTO ANNI? No, una cosa del genere non può essere considerata come parte di un piano serio. La questione quindi non ha nulla a che fare con una seria riduzione del debito.

Forse il piano servirà a rendere la Grecia più competitiva nel lungo periodo? Probabilmente no. Al fine di ottenere più soldi entro il 20 marzo, il parlamento greco ha dovuto accettare alcune riforme strutturali. Alcune di queste riforme sono buone, tuttavia con il PIL greco in contrazione del 7% nel quarto trimestre, gli anni di austerità che attendono la Grecia non la renderanno certo più competitiva. Il piano quindi non ha niente a che fare con il fatto di riuscire a rendere più competitiva la Grecia.

Forse salvare la Grecia è indispensabile per salvare l’Euro? Niente affatto. L’Euro starebbe meglio senza la Grecia e la Grecia starebbe meglio senza l’Euro. I tedeschi stanno già pensando a un Euro che non includa la Grecia. Con una propria moneta, la Grecia svalutarebbe, inflazionarebbe e ricomincerebbe da capo come ha fatto l’Argentina negli ultimi 10 anni. Pertanto, salvare la Grecia non ha niente a che vedere con il fatto di riuscire a salvare l’Euro.

Se il caso Greco non riguarda niente di tutto questo, quindi cosa riguarda? Bene, ora che abbiamo escluso tutto ciò che non ha senso, diamo un’occhiata a ciò che è rimasto.

Salvare la Grecia significa evitare un fallimento tecnico anche se la Grecia di fatto si è già resa insolvente. Perché, dunque, evitare un default tecnico è così importante per la Banca centrale europea (BCE) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI)? L’attuale piano di fatto copre i buchi di un vero e proprio fallimento: 100 miliardi di debito greco verrebbero cancellati grazie ad un accordo con gli investitori del settore privato. In altre parole la BCE ha costretto i creditori ad accettare una perdita del 70% sui titoli in loro possesso senza in realtà dichiarare il fallimento del debitore.

I creditori della Grecia che si erano assicurati contro tale evento sarebbero costretti ad accettare la perdita senza poter rivalere alcun diritto sul rimborso assicurativo. Sarebbe come se una compagnia di assicurazione si rifiutasse di onorare i termini di una polizza incendio, solo perché è andato bruciato appena il 70% della vostra casa.

Qua le cose diventano complicate. Ma in realtà tutto gira intorno a chi stabilisce le regole del gioco. Per chiunque abbia un po’ di buon senso, un perdita del 70% equivale ad una insolvenza. Ma in questo caso a decidere se si tratta di fallimento o meno è invece la International Swaps Derivatives Association (ISDA). La cosa importante da tenere a mente è che l’ISDA è composta dai rappresentanti di banche e società finanziarie. Queste sono le aziende che hanno più da perdere nel caso di fallimento della Grecia. Tuttavia è nell’interesse dei membri dell’ISDA che le perdite dovute al fallimento della grecia non vengano associate a un fallimento esplicitamente dichiarato.

La faccenda diventa ancora più torbida. L’ISDA rappresenta essenzialmente il sistema bancario mondiale. In Europa, il sistema bancario è pieno di titoli di Stato. Tali obbligazioni costituiscono nominalmente nei bilanci delle banche delle attività. Se la Grecia venisse dichiarata insolvente, si creerebbe un precedente che farebbe da guida sull’eventuale gestione del debito di altri paesi. E questo potrebbe mettere in pericolo l’intero sistema bancario europeo.

In termini più semplici, diciamo che il sistema bancario europeo è pieno di carne marcia. Alcuni investitori hanno comprato quella carne marcia pensando che fosse filetto di prima qualità. Ma adesso possono sentire la puzza della carne marcia da un miglio di distanza. Siccome alcuni hanno comprato l’assicurazione contro questa eventualità adesso vogliono essere risarciti per la carne andata a male. L’ISDA, che possiede il congelatore in cui la carne è andata a male, dice: “Beh, abbiamo deciso che la carne marcia dopo tutto non è niente male. E da adesso ve ne spetta pure meno.”

Si tratta di una analogia grezza, ma questo è esattamente quello che è successo la scorsa settimana. Una commissione dell’ISDA ha stabilito che il fallimento della Grecia non è un fallimento. In termini tecnici ha stabilito che “nessun evento creditizio si è ancora verificato” per i titolari di protezione assicurativa sul credito verso la Grecia.

Potete vedere il problema di base: tutti sanno che in caso di insolvenza ufficiale della Grecia il valore di altri titoli di stato, come quelli di Spagna, Italia e Portogallo, precipiterebbe. Un default greco non sarebbe importante a causa delle dimensioni del default (anche se le banche francesi e tedesche avrebbero da perdere un bel po’ di soldi). Sarebbe importante perché darebbe il via a un processo distruttivo per i bilanci delle banche di tutta Europa.

Quando ci rendiamo conto che l’ISDA e la BCE e l’UE sono in combutta per salvare la pelle delle banche e del sistema finanziario, ci rendiamo anche conto che il piano di salvataggio greco ha come obiettivo quello di eliminare del tutto la carta del fallimento come opzione percorribile da altri paesi. In realtà, il fine non è nemmeno quello di impedirne l’insolvenza. E’ quello di rendere impossibile che un paese non risponda ai propri obblighi nei confronti del sistema bancario… e ciò verrà perseguito anche se richiedesse di cancellare la parola “fallimento” dal vocabolario.

Se il modello europeo dello Stato sociale vuole sopravvivere, le banche non devono subire perdite sulle partecipazioni nei titoli pubblici. Investitori individuali e privati, d’altro canto, saranno invece costretti ad accettare le perdite attraverso una “clausola di azione collettiva”. Questa clausola permette che i titoli siano svalutati se la maggioranza degli obbligazionisti è d’accordo.

Ora veniamo al cuore del problema. I tecnocrati in Europa sono in guerra con gli investitori privati. I membri dell’ISDA sono in combutta con i tecnocrati per preservare il sistema. Questa parte è facile da capire. I tecnocrati sono impiegati del governo e come gli uomini di governo spendono i vostri soldi. Per loro il sistema attuale è buono e molto conveniente. E’ buono e conveniente anche per i membri dell’ISDA: banche e istituzioni finanziarie. Prestare soldi al governo è sempre un buon affare. Raccogliere i frutti dell’espansione del credito riscuotendo gli interessi è molto facile. Tutti questi soggetti vogliono che tale sistema continui a sopravvivere.

Chi è che invece paga per tutto questo? Semplice: tutti gli altri che stanno fuori a guardare e non partecipano al giochetto. Gli investitori che vogliono impiegare produttivamente i loro capitali ad esempio sono spiazzati e penalizzati. E ci perdono anche tutti i contribuenti che mettono in discussione il valore delle misure di austerità e dei piani di riduzione del debito che in realtà non riducono affatto il debito. Non c’è da stupirsi se tutti costoro sono arrabbiatissimi.

Allora per riassumere: il problema della Grecia non è se salvare la Grecia. L’unica ragione per cui qualcosa di così piccolo e insignificante possa contare così tanto è che in realtà conta per ragioni che non si possono dire. In ultima analisi sottraendo le decisioni alle persone elette, e delegandole invece alle elite finanziarie trans-nazionali, si sta togliendo la sovranità al popolo e si sta impedendo il corretto funzionamento dei processi democratici. Ciò è strumentale al fine di preservare un sistema globale che si basa sull’accumulazione di debito e sull’espansione dei poteri statali, in cui principalmente due gruppi di persone traggono enormi benefici a scapito di tutti gli altri.

Ma in fondo questo è solo l’ultimo esempio tra tanti di come la collusione tra governi corrotti e l’élite finanziaria finisca per rubarci i soldi, la libertà, precludendo a noi, il popolo, la “ricerca della felicità”.
Dan Denning per il


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