Il nudo dal postimpressionismo ai giorni nostri

Creato il 02 dicembre 2015 da Artesplorando @artesplorando

Paul Cezanne, tre bagnanti

Continua l'esplorazione attraverso l'interpretazione del nudo nella storia dell'arte.
La grande area di esperienze indicata come postimpressionismo, impegnata a ridefinire il territorio e gli statuti dell'arte rispetto alla sua stessa ragion d'essere e nei rapporti con il pubblico, non guarda al nudo come a uno dei temi più importanti.
Il nuovo dibattito antiaccademico incarna due posizioni:
  1. La riflessione sul nudo come genere storico/artistico conchiuso e dai confini problematici certi;
  2. Oppure come grimaldello per riflessioni più ampie riguardanti la posizione dell'artista in seno alla società, il suo antagonismo esemplare. In questo secondo caso, la nudità è figura di rottura, coinvolgente meccanismi come il comune senso del decoro e del pudore.
Conta comunque  il meccanismo di ricezione dell'opera, in cui gusto e opinioni del pubblico svolgono un ruolo rilevante. Nei confronti del nudo entrano in gioco diversi meccanismi:
Da un lato la chiusura puritana e bigotta che la cultura borghese dei primi del Novecento rende ancora più evidente.
Dall'altro esempi di rinnovata iconoclastia. Come quella che spinge la suffragetta Mary Richardson, il 10 marzo 1914, a colpire ripetutamente con un taglierino la Venere allo specchio di Velazquez, che considera offensiva per la dignità della donna.

Il nudo nel postimpressionismo 

La produzione del nudo dei primi anni del Novecento si colloca in una zona intermedia realizzando opere monumentali di carattere celebrativo.
La via intrapresa da Rodin è quella di restituire in chiave moderna la scultura come immagine di fruizione collettiva. Il suo è un michelangiolismo molto esplicito e si inserisce nell'alveo della concezione moderna di monumento celebrativo in un periodo in cui i nazionalismi e i numerosi eventi lo rendono particolarmente attuale.
Segui la bacheca #Ilnudonell'arte di Artesplorando su Pinterest. 
Analogamente avviene in pittura con autori come Ferdinand Hodler e più in genere a coloro che operano in seno alla Secessione, nel quale lo Jugenstil e l'Art nouveau sono declinazioni apertamente decorative.
In questo ambito si inserisce Gustav Klimt che rappresenta un caso in cui il nudo diviene tema principale. Il Fregio di Beethoven e i pannelli per l'Università di Vienna ne fanno il motivo allegorico principe, con particolare attenzione alla sensualità femminile.
Klimt coltiva un'ossessione per il corpo che lo porta a singoli dipinti come Giuditta I (1901), o i Serpenti d'acqua, in cui è esplicito l'erotismo nella costruzione simbolica.

Edvard Munch, Madonna

E' il clima emotivo che si ritrova in altre opere cruciali del tempo, da Madonna e Le tre età della donna (1984), di Edvard Munch, alla serie di nudi stilisticamente ansiosi e slogati, eroticamente espliciti, di Egon Schiele. Il nudo si fa rapporto nevrotico con l'altro, esplorazione della dimensione sensuale fino alle sue più profonde oscurità.
Nell'arte francese domina la ridefinizione dell'intimità dello sguardo, volta a rinnovare l'apparato formale della pittura. Felix Vallotton ed Edouard Vuillard ricollocano il nudo nella sua storia di genere.
La stagione Fauve di Henri Matisse, incentrata su dipinti programmatici come Lusso, calma e voluttà (1904), La gioia di vivere (1906), La danza (1909), è concentrata sulle ragioni pittoriche. Matisse ragiona molto sulle figura di Cezanne, del quale ha acquistato nel 1899 le Tre bagnanti, e assume il motivo dell'odalisca nuda, uno dei più scontati della pittura dell'Ottocento. Il suo erotismo è tutto dentro il fare pittura, nella sua mente e non nel suo sguardo.
Anche Pablo Picasso muove dal tema storico delle bagnanti, tutto interno all'iconografia storica del genere e per questo scelto, e lo media con l'anatomia che deriva da quello che allora si diceva art negre, dilagante ai primi del Novecento. Nascono così Les demoiselles d'Avignon (1907). Il soggetto, un interno di bordello a Barcellona, è del tutto irrilevante. Ciò che conta è che Picasso crea un'immagine pittoricamente essenziale e molto potente, in cui le pose delle figure sono riprese dal repertorio antico, ma trattate nei modi schematici delle arti extraeuropee.

Pablo Picasso, Les demoiselles d'Avignon

Le stagioni mature di artisti già consacrati come Picasso e Matisse, de Chirico e Carrà, Dix e Grosz, vedono il nudo moderno trattato come territorio di scambio con il classico e di rifondazione della forma, così come avviene ad Andre Derain, Georges Braque e al sottilmente perverso Balthus.
Nell'area italiana spiccano in questo tempo Felice Casorati che crea un capolavoro come Meriggio (1923), Cagnaccio di San Pietro con opere come Dopo l'orgia (1928), Arturo Martini con il Torso di giovinetto e La Pisana (1928), Achille Funi, Ubaldo Oppi, Marino Marini, Mario Sironi.
L'area tedesca si fa lucida e visionaria con Christian Schad, George Scholz, Karl Hubbuch, Franz Radziwill.
Su un fronte opposto i surrealisti pongono dagli anni venti la questione del corporeo, dell'eros e della sessualità, delle implicazioni psicoanalitiche del rapporto maschile/femminile. Il precursore di tutto ciò è Marcel Duchamp, padre nobile del dadaismo, il cui cubisteggiante Nudo che discende una scala era stato nel 1912 fonte di polemiche più per il suo apparato tematico che per le scelte stilistiche: un nudo non doveva scendere le scale, ma stare disteso!
Rene Magritte, Paul Delvaux. Salvador Dalì, Hans Bellmer operano apertamente sullo straniamento iconografico, sull'implicazione sessuale che viene spinta a esplorare ambiti come la nevrosi e la perversione.

Man Ray, Le violon d'Ingres

Man Ray opera invece sul limite geniale in cui il nudo è insieme stereotipo artistico e nudità svelata, dando una serie di opere, da Le violon d'Ingres (1924), a La priere (1930), dai numerosi nudi di Kiki de Montparnasse a Erotique-voilee (1933). In quest'ultima serie posa Meret Oppenheim, modella e a sua volta artista.
Lei concepirà nel 1959 un'opera ad alta densità di senso in chiave surrealista: Festa di primavera in cui una donna nuda fa da tavola apparecchiata di cibo, tra evocazione sacra e ostensione fisica del corpo.

Il nudo e i totalitarismi

Ma gli anni venti e trenta del Secolo breve sono sopratutto quelli dei grandi totalitarismi: Autoproclamato erede della romanità imperiale, il fascismo ne assume la retorica monumentale del nudo esemplare. Negli anni tra il 1928 e il 1932 si edificano a Roma, al Foro Mussolini (poi Foro Italico), lo Stadio dei marmi e l'Accademia fascista di educazione fisica, che molti artisti sono chiamati a decorare con statue, affreschi e mosaici.
Queste opere incarnano il valore conferito all'immagine del regime, che si muove nel solco di un accademismo ormai stereotipato.
L'ideologia nazista ha implicazioni diverse. Vi confluisce anche il culto salutista del corpo, volto a confermare il vagheggiato primato ariano. L'amata Sparta diventa il riferimento ideologico essenziale. L'arte è considerata un fattore educativo e identitario primario, e su questo punto Adolf Hitler fa scelte precise ancor prima di salire al potere.
L'arte d'avanguardia viene bollata come degenerata e perseguita sistematicamente e vengono imposti modelli estetici di un classicismo purista e retorico. Concetti che si incarnano nella pittura di Ivo Salinger, Ernst Liebermann, Sepp Hilz, ma sopratutto nella scultura da Arno Breker.

Ivo Saliger, Il giudizio di Paride

L'impasto tra salutismo razzista e classicismo retorizzato è alla base dell'opera di Leni Riefensthal, fotografa e regista chiamata a celebrare il primato atletico ariano alle Olimpiadi di Berlino nel 1936. Basti citare le fotografie della serie Olympia. Il nudo antico è la perfezione ideale che il corpo vivente ariano ha restituito alla storia: questo è il messaggio. La deformità fisica è disprezzata e cancellata insieme alle minoranze razziali: ebrei, gitani, omosessuali, disabili ...
Stessi principi che ritroviamo anche nell'Unione Sovietica, la cui arte di propaganda percorre vie di rigida pudicizia visiva. Vera Mukhina, scultrice, guarda all'esempio tedesco e nel 1945 Stalin le offre di lavorare per il regime comunista.

Il nudo in America: verso la contemporaneità

Sull'altra sponda dell'Oceano sorge invece la prima arte che può dirsi autenticamente americana. Più ancora che nelle pittura di Thomas Hart Benton, Reginald Marsh o Edward Hopper, la nuova misura concettuale del nudo si deve trovare nelle fotografie di Eward Weston per cui posa Tina Modotti, a sua volta valente autrice, di Imogen Cunnigham, di Paul Outerbridge.
E' con loro che per la prima volta il nudo in fotografia si rende autonomo dai modelli pittorici passati e presenti, e si sottrae alla clausola intellettuale del classico.
In pittura e scultura domina ormai la questione del corporeo. Il percorso che da Chaim Soutine ad Alberto Giacometti, da Francis Bacon a Lucian Freud riporta alla sostanza drammatica e tutta carnale di una realtà di cruda corporeità.
Nel 1960 e 1961 due realizzazioni segnano la fine del nudo come questione pittorica e scultorea, facendo del corpo in se stesso un diverso ambito d'esperienza:
  1. Yves Klein organizza un'evento in cui alcune modelle spalmano il proprio corpo di colore e si imprimono sulla tela: sono le Atropometrie.
  2. Nel 1961 Piero Manzoni realizza le Sculture viventi, firmando il corpo di modelle e amici, con relativa emissione di un certificato attestante che tali persone sono opere d'arte!

Piero Manzoni, Sculture viventi

Ciò che viene posto in discussione da queste esperienze è il rapporto di appropriata necessità tra modello e immagine, e contemporaneamente quello dell'artista come figura di mediazione e traduzione.
Alternativa è fare del proprio corpo la materia dell'operazione artistica. Le foto e le serigrafie dei nudi maschili di Andy Warhol vanno proprio verso questa direzione.

Il nudo contemporaneo

John de Andrea realizza statue che contraffanno iperrealisticamente la nudità carnale andando verso la falsificazione corporea, in una zona in cui l'artisticità stessa viene messa in discussione.
Negli anni '60 prendono piede l'happening, la performance, la body art. Il corpo nudo si fa stereotipo stesso della nudità fisica in operazioni come quelle di Charlotte Moorman e di Nam June Paik.
Sculture viventi vengono concepite da Robert Morris e Carolee Shneeman nel 1964.
Chiaramente siamo nel campo di operazioni ad alto tasso di provocatorietà, in cui la questione è porre in evidenza, attraverso il rapporto conflittuale con le istituzioni poste alla censura, che la società è disposta ad accogliere la nudità solo se mediata in chiave eccitante e gratificante, ma non se ostentata nella sua cruda verità.
Dalla metà degli anni sessanta agisce anche il gruppo degli azionisti viennesi, Gunter Brus, Otto Muhl, Hermann Nitsch, Rudolf Schwarzkogler, i quali danno vita ad azioni scioccanti da un punto di vista psicologico ed estetico, con riferimenti alla ritualità sacrale, all'autolesionismo, alle funzioni corporali fino alla perversione sessuale.
Apice provocatorio è raggiunto nel 1976 dalla mostra "Prostitution" all'Institute of Contemporary Art di Londra. In questa mostra il gruppo COUM Transmissions, esponente di punta della generazione punk composto da Cosey Fanni Tutti e Genesis P. Orridge, documenta crudamente l'attività di modella per riviste pornografiche di Cosey.
Dagli anni settanta pongono il proprio corpo al centro della pratica anche artisti come Vito Acconci, Marina Abramovic e Lynda Benglis.
Tutti questi autori cominciano ad utilizzare anche nuovi mezzi per documentare la propria azione: dal videotape, alla fotografia, al film, allo scopo di registrare le proprie azioni.
Se ti piace il blog, seguilo anche su Twitter!
Tweet di @artesplorando
Autori come Luigi Ontani e Colette utilizzano il video e la fotografia per riannodare il rapporto con il nudo di genere storico recuperando la tradizione delle pose plastiche dei Tableaux vivants.
Tra azione fisica, fotografia, video e film si muove anche l'attività di autori della generazione successiva. In particolare parliamo di Robert Mapplethorpe, Herb Ritts, Miyako Ishiuchi e Helmut Newton, impegnati a rieditare una versione postmoderna della bellezza classica; di Nobuyoshi Araki, Joel Peter Witkin, Jan Saudek, Nan Goldin, Andres Serrano, Catherine Opie, Thomas Ruff, i quali operano sull'evidenza desolata del corpo in situazioni limite; e Francesca Woodman, imprigionata in un autobiografismo drammatico e poeticissimo.
In un ambito più legato all'azione fisica diretta agiscono autori come Larry Clark, Jeanne Dunning, Jan Fabre, Paul McCarthy, Vanessa Beecroft, la quale assume modelle della moda come icone d'una bellezza resa ormai astratta.

Robert Mapplethorpe, Charles Bowman / Torso

Questione principale per tutti questi artisti è sottrarre l'idea del corpo nudo dagli stereotipi massmediali che sempre più imperano, e cui il web, aggiungendosi alla pubblicità, ai magazines, al cinema, alla televisione, ha offerto un apporto rilevante.
Direttamente dal virtuale e nel virtuale nascono esperienze come quelle di Patrick Lichty e di Franco ed Eva Mattes, autori in carne ed ossa che scelgono una condizione iconografica digitale. Un passo ulteriore è quello di Gazira Babeli, figura d'artista a sua volta virtuale, che vive e opera completamente in Second Life.
Viceversa altre pratiche affrontano la questione del corporeo e della nudità accettandone gli stereotipi più scontati. E' il caso di Pierre e Gilles, che adottano la clausola del kitsch per forzare in senso iperpop le proprie operazioni fotografiche. O di Jeff Koons che ha fissato in modo esibizionistico e volutamente volgare il proprio rapporto matrimoniale con Ilona Staller, nota ai più come Cicciolina.
Fino all'estremo del postumanesimo visionario di Matthew Barney e dei montaggi stranianti e violenti di corpi di Jake e Dinos Chapman: frutto di una pura esibizione spettacolare dell'assenza di senso.
E così siamo arrivati alla fine e alla nostro tempo.
Da qui in avanti la storia è tutta da scrivere!

Continua l'esplorazione ...

Questo post fa parte di una serie dedicata alla storia del nudo nell'arte. Se vuoi leggere altro segui l'etichetta #ilnudonellarte
Fonti: Storia generale del nudo, Flaminio Gualdoni, Skira, Milano, 2012